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Ma la libertà, quando è «totale», non è più vera libertà

domenica 18 gennaio 2015
Il ripensamento della questione “libertà” in relazione alla strage dei vignettisti del Charlie Hebdo ha scatenato la virulenza verbale del giornalismo laicista sul tema della libertà. L’aveva aperta Massimo Gramellini su La Stampa con l’affermazione che «la forma estrema della libertà è la satira». Venerdì 16, su Il Fatto, il comico Daniele Luttazzi ha cercato di rovesciare la questione: «Il problema non è la satira, ma chi ancora si offende», così accusando la religione di essere essa la causa di tutti i mali. «Se qualcuno crede che esistano esseri invisibili, non può pretendere di offendersi quando questi esseri invisibili (e chi ci crede) sono presi in giro dalla satira… La religione è merce da ciarlatani… Le religioni non hanno più senso nel XXI secolo, sono una stramberia… Un credente, finché non dimostra che l’essere invisibile in cui crede esiste, non ha alcun diritto di fare l’offeso… L’offesa è creata dal credente»: si sa, i comici restano tali anche quando fanno pena. Ma non solo i comici: la Repubblica  ha ripreso un articolo dell’editorialista del New York Times David Carr, secondo il quale «libertà di parola vuol dire tutelare ciò che ci offende». Da noi, invece, c’è Stefano Rodotà, quello che non vede altro che “diritti” (è suo il libro “Il diritto di avere diritti”): su la Repubblica  afferma che «Il diritto alla libertà non conosce limiti». Lo hanno ben dimostrato i terroristi islamici, mettendo in pratica il diritto rodotiano di agire secondo i propri creduti diritti e libertà. Assai simile, sul Messaggero, il pensiero di Giulio Giorello, filosofo laicista della scienza: «Se non è totale non è libertà» e «le religioni devono accettarlo», perché – gli fa da spalla il giornalista Claudio Sabelli Fioretti su Il Fatto  (lunedì 12) – «le religioni coltivano pericoli pazzeschi». Se lo dicono loro... Ma la cosa che più fa pensare alla debolezza del pensiero laicista è la sua incapacità di accorgersi che l’abbattimento di ogni limite (qualcuno lo chiama “principio” o “diritto di autodeterminazione”) provoca inevitabilmente scontri sanguinosi, come dimostrano non soltanto i fatti di Parigi, ma anche ogni altra azione che prescinda dal rispetto dell’altro. Una ormai antica formula giuridica afferma che i diritti di ciascuno si fermano dove cominciano i diritti degli altri. (Cicerone diceva “Summum jus summa iniuria”. Gesù parlava, invece, di amore al prossimo).NON PORTA PENAIl Partito Radicale di Roma si lamenta, scrivendo al Corriere della sera  (lunedì 12), per il criterio di assegnazione dell’8 per mille alle varie Chiese e, con la diffusa ignoranza dei laicisti circa la realtà religiosa, aggiungendo che «la sede amministrativa della Chiesa Cattolica italiana si trova in Vaticano». Gli risponde Sergio Romano accusando lo Stato, perché – scrive – le somme non esplicitamente destinate dovrebbero restare nelle tasche dei contribuenti. Errore anche di Romano: l’8 per mille non è un’offerta volontaria, ma è un obbligo ed è parte delle tasse dovute dai contribuenti, quindi proprietà dello Stato, che lo assegna con gli stessi criteri democratici dei voti non espressi nelle elezioni. Il giorno successivo il senatore Carlo Giovanardi spiega a Romano quello che ancora non sa, ma l’ex ambasciatore insiste: l’8 per mille non specificamente destinato resti nelle tasche dei contribuenti. Tanto lui non porta pena.
QUESTIONI DI GUSTOLo scarso gusto di Libero: «Greta e Vanessa libere: ci sono costate 12 milioni» (venerdì 16). Il cattivo gusto del leader della Lega Matteo Savini: «Se abbiamo pagato è uno schifo» (stesso giorno, Libero). Il pessimo gusto di Mario Giordano su Libero: «Francesco ci chiede di tirar fuori gli attributi» (come sopra).