Una Supercoppa persa ai rigori non può cambiare il senso, nè la sostanza, della storia. Gianni Agnelli è stato per decenni il primo tifoso della Juventus. Boniperti ne realizzava i sogni più audaci. Umberto Agnelli è stato il più accorto amministratore, a sua volta salutato da grandi vittorie: peccato che Giraudo (e Moggi) ne abbiano macchiato la gestione. Andrea Agnelli oggi ha riassunto in sè i sogni dello zio e gli insegnamenti del padre diventando il primo presidente “sabaudo” a tempo pieno. Ieri sera a Doha per poco non è svenuto dopo l'errore fatale e finale di Padoin. Incidente di percorso per chi ha ereditato la Juventus ferita da Calciopoli e dopo una prima gestione d'emergenza; subentrato ai “volontari” e a progettisti inesperti, dopo qualche inevitabile errore ha realizzato la squadra più forte degli ultimi trent'anni e ha dato alla società - con lo Juventus Stadium - la consistenza di un grande club europeo, tipo Real Madrid o Manchester United. Non ancora Bayern. Per questo nell'Anno del Signore 2015, dimenticata la delusione di ieri, cercherà di vincere la Champions. Impossibile? Mi piace rammentare l'impresa di Roberto Di Matteo che nel 2012 sostituì il fenomeno Villas Boas e seppe portare al trionfo il Chelsea, dopo aver battuto Barcellona e Bayern Monaco, usando le uniche armi a sua disposizione: non campioni consacrati ma idee calcistiche collaudate. Quelle del calcio all'italiana racchiuse in un antico e sempre valido motto: “primo non prenderle”. Non sfacciatamente, ma sottovoce, è lo stesso imperativo di Max Allegri, il tecnico acchiappato al volo dall'abile presidente impermalito dall'addio di Antonio Conte, il suo primo conquistador. E non a caso la Juve del triglione labronico ha chiuso l'anno mandando a quel paese il Cagliari del sedicente inventore di calcio Zdenek Zeman, troppo tardi convertito a una difesa... a sei. Questa Juventus ha un enorme vantaggio su tutti: non sbaglia le operazioni di mercato, anche le più economiche, quelle che portano a casa Tevez, Pogba, Morata, Llorente, Pereyra e altri gioielli individuati da Marotta e dai suoi collaboratori, in questa stagione vincitori nel confronto con l'abilissimo realizzatore dei sogni di Garcia, Walter Sabatini. A proposito di Garcia, lasciatemi dire che la sua rapida “romanizzazione” lo ha reso meno speciale di quel Rudy che all'esordio in Italia fece faville: la inedita tendenza al vittimismo danneggia non solo la sua personalità ma anche l'ambiente in cui lavora e dunque la squadra, comunque l'unica in grado di tener testa alla Juve. Tornando ai bianconeri, forte di un gruppo di straordinari giocatori - fra i quali campioni come Pirlo, Pogba, Tevez, Marchisio, Buffon e Vidal - la Juve sta cercando di farsi europea (Coppe minori a parte) per completare quel percorso di crescita iniziato con Antonio Conte, un ottimo tecnico allergico all'Europa: non a caso, prima di accettare la superofferta di Tavecchio mi confessò che sarebbe andato prima in Francia poi in Inghilterra a imparare tre lingue, il francese, l'inglese e... l'esperanto del pallone. Allegri in Europa ha già imparato una lezione più alta con il Milan che lo licenziò improvvidamente alla vigilia di un match con l'Atletico. E la sua Juve ha già dato l'impressione di non essere votata soltanto alla conquista dell'ennesimo scudetto. Andrea Agnelli guarda il futuro e sogna in grande. Per superare lo zio e il padre. Oggi è comunque l'unico vero Sportivo dell'Anno 2014.