Rubriche

Ma il mondo non nasce da un rifiuto

Pier Giorgio Liverani domenica 7 luglio 2013
«Il mondo nasce da un rifiuto»: questo titolo a un breve saggio del filosofo Emanuele Severino sul Corriere della sera (lunedì 1) può sembrare l'affermazione di un fantasioso principio di riciclazione. Invece quel «rifiuto» è una negazione: l'applicazione al mondo del «principio di non contraddizione». Secondo Severino «la vita dell'uomo incomincia con un rifiuto»: la negazione che «qualcosa sia altro da ciò che essa è» (esempio: «Il giorno non è la notte, l'acqua non è aria…»). È un «principio» della filosofia greca affermato da Parmenide e poi da Aristotele, che si può collocare alla base della scienza. Perciò piuttosto che da un rifiuto («una cosa non può essere altro da sé») sarebbe meglio cominciare dalla conoscenza: una cosa è quello che è finché lo è. Proprio la scienza, infatti, ha confermato la verità di un versetto famoso del Qoelet: «Vanità di vanità, ogni cosa è vanità». Contestato in modo convincente dal noto saggista Alfonso Berardinelli su Il Foglio (giovedì 4), il professor Severino ha fatto suo il «principio» in questione per dichiarare l'eternità delle cose: non potendo essere altro da sé, esse non cambiano mai e dunque, «poiché tutto ciò che esiste ha in sé l'essere» che non cambia e «poiché ogni cosa è se stessa, per questo ogni cosa è eterna». Esisterebbe, insomma, soltanto l'essere e nessun divenire (ma almeno il tempo è insieme un essere e un divenire). Un non-filosofo come chi firma questa rubrica è subito tentato di obiettare che, al contrario, tutto o quasi ciò che esiste, Severino compreso, diventa altro da sé: anche l'uomo, anche i filosofi (prima esistono due gameti, che poi diventano una persona, che poi…«memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris»). Il che conferma che non basta un «principio» fisico-logico-filosofico a postulare l'eternità soprattutto delle cose fisiche o materiali. Invece, passando alla religione, l'eternità, quella vera, è un divenire garantito dalla Transustanziazione eucaristica («Chi mangia la mia carne…»). E quest'ultima – cito Umberto Silva su Il Foglio (venerdì5) – dice anche che «le cose non sempre sono quello che sembrano».LA "CHIESA" DEGLI ATEIDomenica scorsa questa rubrica si poneva l'interrogativo di dove collocare la A di atei: l'ateismo è una religione o, invece, un'areligione? Ha vinto la prima ipotesi. Una sentenza della Cassazione ha respinto il ricorso del Governo, che alla Uaar (Unione atei agnostici e razionalisti) aveva rifiutato un'"intesa" come quella tra lo Stato e le varie Confessioni religiose presenti in Italia. L'Uaar, infatti, pretende di «ricevere la stessa tutela e gli stessi diritti riconosciuti dalla Costituzione alle confessioni diverse da quella cattolica». In essi è compresa la partecipazione ai fondi dell'"8 per mille". Il Corriere della sera ne ha tratto (20 giugno) un grande titolo: «Anche gli atei diventano una chiesa. Stessi diritti delle altre confessioni?». Ed ecco da un portavoce dell'Unione i «prossimi passi»: «Ora vogliamo poter celebrare matrimoni e fare assistenza negli ospedali». Avranno sacerdoti di un non-dio?LE STELLE DI HACKPoche voci critiche e molte entusiastiche, sui quotidiani "laici", per Margherita Hack: «Stella rossa», «La ragazza che accendeva le stelle», «Il lato più a sinistra del firmamento», «La Signora Universale»… In qualche modo, anche loro cercano di disegnarsi un paradiso.