Ma i cattivi sono davvero cattivi?
ma che non è la sola a esserlo: ambiente e personaggi che sono dunque di ognidove.La differenza con il cinema italiano corrente è abissale: Caligari sa di cosa parla e ama i suoi personaggi, non li tratta da scrittore o lettore dei quotidiani a grande diffusione, non vive di luoghi comuni e di sentito dire. Soprattutto conosce la loro pena e i loro rovelli, la protervia ma anche il dolore di chi sa che esser nati in quel preciso strato sociale vuol dire non più uscirne, che «la vita è dura e se non sei duro come la vita non vai avanti», che i soldi per
sopravvivere se c’è una famiglia sono indispensabili e non sono molti i modi per averli. A entrare nella mente e nei sentimenti di questi disperati riescono solo quegli scrittori o registi che li conoscono bene e che gli vogliono bene. La pietà che muove Caligari si comunica allo spettatore, la sua volontà di capirli senza
paternalismo e moralismo, è, mi pare, del più puro stampo cristiano, ed è anche questo a commuovere, a straziare. Il paragone con Accattone, un altro disperato film cristiano, viene spontaneo. Caligari lo sapeva, è da lì che è partito.
Il mondo cambia, ma la somiglianza tra le storie e i personaggi di due film a distanza di più di mezzo secolo dà molto a pensare: nelle marginalità sociali, nelle periferie del mondo, tra i senza speranza e senza «sol dell’avvenire», poco è cambiato. E deve invece cambiare.E tra le poche cose che possiamo fare c’è quella di capire, cioè amare, chi la società ha respinto ai margini, i «cattivi» che sanno di «non essere cattivi». Come l’orso di peluche della bimba che nel film muore di Aids, come i due protagonisti e tanti del loro contorno.