Ma davvero la quantità è misura di tutte le cose?
C'è chi la butta in psicologia. Renato Franco ("Corriere della sera"): «Un inconscio rifiuto collettivo ad abbandonarsi alla spensieratezza in un mondo dai contorni inaspettati che non riconosciamo come nostro». Chi in politica (colpa dei comunisti?). Fabrizio Biasin ("Libero"): la Rai si è arresa senza condizioni al «diktat governativo del "o niente pubblico o niente Sanremo". Il ministro Franceschini disse così a suo tempo, la Rai si inchinò, la frittata fu servita». Chi in letteratura. Alberto Mattioli ("Stampa"): «Il festival muore ma non s'arrende, come quel cavaliere del Berni: "Così colui del colpo non accorto / andava combattendo, ed era morto"». Chi incolpa innanzitutto la pandemia, come il professor Giorgio Simonelli intervistato da Luigi Mascheroni ("Giornale"): «Troppo consumo di tv ha finito per penalizzare il Festival». A qualcuno in fondo non dispiace. Franco Bechis ("Tempo"): «La tv magari rimane spenta, recuperando un altro stile di vita. Siamo tutti cambiati, profondamente. Ma non in peggio». Chi si dà ai post-latinismi. Aldo Cazzullo ("Corriere"): «Qualsiasi spettacolo senza pubblico esce dimidiato, figurarsi il Festival». "Dimezzato" era troppo plebeo.
E madamigella qualità? «Lo spettacolo è indubbiamente elegante», ammette Renato Franco sul "Corriere". «Bravissimi Amadeus e Fiorello», sottolinea Fabrizio Biasin su "Libero". Peccato siano dimidiati, sic.