Calcio e integrazione: una volta la cosa ci toccava da vicino, da migranti. A Wolfsburg, molto prima che i campioni del mondo Zaccardo e Barzagli migrassero per vincere la Bundesliga, al calcio si giocava negli intervalli della fabbrica, la Volkswagen. E i nostri paisà "baraccati" andavano a tifare per loro: «Mascìa, Melis, Sgattoni, Furlan...». I "pionieri" della Usi Lupo Martini, prima società di calcio italiana ammessa - nel 1962-63 - a un campionato tedesco (la Rft). Formazione sorta tra le tute blu della Berliner Brücke, la "baraccopoli" dove sorse anche il temutissimo e polveroso campo di questi sciuscià del pallone. «I capi-baracca ogni domenica organizzavano partite. Il calcio serviva a sentire meno la nostalgia di casa, di mogli e figli rimasti in Italia», ricorda nostalgico il presidente onorario Gobbato. Quelle partitelle presto animarono un torneo interno fino alla fusione della Lupo («come Wolf, omaggio alla città che ci ospitava e ci dava lavoro») e della Martini «tentativo di denominare la squadra con la marca del celebre cocktail, sperando in una sponsorizzazione». Dal 1981 c'è solo la Lupo Martini, un presente onorevole tra i dilettanti e un passato di sfide all'ultimo sangue con i tedeschi: «In campo volavano calci, gomitate e parole grosse. Loro provocavano e noi reagivamo, all'italiana... Naturalmente».