Luigi Baldacci, «ovvero la critica militante. Vi pare poco?». Così Massimo Onofri conclude il ritratto apologetico del suo amato e ammirato maestro. Qualche riga sopra aveva caratterizzato Baldacci come un critico che arriva a nascondere, invece che esibire, gli splendori della sua intelligenza: «con sottile sprezzatura, ha finito per perseguire in ogni suo articolo un ostinato esercizio di dissimulazione: la dissimulazione d'un ingegno troppo al di fuori dell'ordinario». Il saggio di Onofri è stato scritto nel 2006 e compare ora in un volume intitolato
Altri italiani. Saggi sul Novecento (Gaffi editore). Per mancanza di sintonia caratteriale, per diversità di gusti, formazione e interessi, non ho apprezzato Baldacci quanto meritava. Più semplicemente, facevo fatica a leggerlo, probabilmente ingannato dalla sua sprezzatura e dissimulazione stilistica, dall'apparente modestia con cui metteva in ombra un'originalità di punti di vista a volte oltranzistica e scandalosa. Le sue competenze in letteratura italiana novecentesca erano eccezionali e forse uniche, almeno nella sua generazione: una generazione nella quale del resto, per vastità di letture e forza di carattere, i suoi rivali potevano apparire più spavaldi, disinibiti, nonché spregiudicati fino alla faziosità o all'esibizionismo: si pensi a Edoardo Sanguineti, Cesare Garboli, Pietro Citati, Walter Pedullà. Ma Baldacci aveva un vantaggio: era un critico più empirico e più tradizionale che non dimenticava la storia. Una delle sue idee centrali (un'idea che è un giudizio di valore, come sempre nella sua critica) è che nei primi venticinque anni il Novecento aveva già dato il meglio di sé e stabilito sia modelli fondamentali che valori insuperati: con Svevo, Tozzi, Pirandello, Bontempelli, Palazzeschi – per non parlare della lirica di Saba e Gozzano, Sbarbaro e Campana, Rebora e Ungaretti. Altra valutazione centrale in Baldacci è la «diminutio» (per constatata minorità e per epigonismo) di autori come Calvino e Sanguineti: usciti entrambi, nonostante i travestimenti, dalla prosa d'arte di Emilio Cecchi.