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Lucio Battisti, Spotify e il boom che non c'è

Gigio Rancilio venerdì 15 novembre 2019

Si chiama bias di conferma. In psicologia indica «un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni ponendo maggiore attenzione, e attribuendo loro maggiore credibilità, a quelle che confermano le nostre convinzioni».
Tutti ne siamo vittime inconsapevoli. Nessuno escluso. Perché questi «malfunzionamenti cognitivi» colpiscono chiunque, indipendentemente dall'età, dal grado di istruzione e dalla professione.
Penserete: ma cosa c'entrano i bias cognitivi con Lucio Battisti e Spotify, cioè con uno degli artisti più importanti della musica italiana e con la piattaforma più utilizzata per lo streaming musicale? C'entrano. Perché non esiste appassionato di musica (soprattutto tra i non più ragazzi) che non ha amato Lucio Battisti e che non senta forte la sua mancanza. Fosse per loro – anzi, per noi – Battisti dovrebbe giustamente essere ascoltato da chiunque e in tutto il mondo. Si può spiegare solo così l'entusiasmo col quale è stato accolto un comunicato stampa di Spotify che riguardava il successo di Battisti anche tra i più giovani utilizzatori della piattaforma digitale dedicata alla musica. Per la serie: vedi che avevamo ragione, Lucio ha un valore così grande che chiunque, se lo avvicina almeno una volta, ne rimane affascinato. Anche la generazione degli smartphone e della trap.
Veniamo ai dati diffusi. A poco più «di due mesi dallo sbarco» (in realtà è poco più di un mese) su Spotify «Battisti ha avuto oltre 20 milioni di streaming, con una media mensile di 600mila ascoltatori».
Bello. Bellissimo. E interessante anche sapere che la sua canzone più ascoltata sia Il mio canto libero, la quale al momento ha superato il milione e mezzo di clic. C'è ancora tanto per cui gioire: secondo Spotify, «oltre il 62% di ascoltatori di Battisti è composto da
under 35». E il 24,79% fa parte della fascia 18-24 anni.
A questo punto torniamo alla nostra domanda: cosa c'entrano i bias di conferma con tutto questo? Semplice: che presi come eravamo a festeggiare il grande successo anche tra i giovani della musica di Battisti, ci siamo dimenticati di verificarne il «peso reale». Per esempio: ma davvero sono così tanti 600mila ascoltatori mensili su Spotify per un artista? Basta una rapida ricerca sulla piattaforma per scoprire che Lucio Dalla (anche lui un grande della nostra musica, anche lui scomparso e anche lui amatissimo) nell'ultimo mese ha avuto
979.402 ascoltatori. Tra i grandi cantautori vivi si piazza meglio di Battisti anche De Gregori, con 703.497 ascoltatori nell'ultimo mese. Un'altra piccola ricerca svela che i 600mila ascoltatori al mese di Battisti non sono così lontani dai 532.531 raccolti da Brunori Sas, che è un cantautore molto stimato ma che non ha mai avuto la copertura stampa e il successo di Lucio.
E i cosiddetti beniamini dei giovani? Che numeri fanno? Guardando la playlist di Spotify «Hot Hits Italia» (che raccoglie i successi del momento) saltano agli occhi Rocco Hunt (2 milioni 607.179 ascoltatori nell'ultimo mese, cioè oltre il quadruplo di Battisti), il vincitore di Sanremo Mamhood (4 milioni 576.270 ascoltatori, oltre sette volte Battisti) e Tommaso Paradiso, ex leader dei The Giornalisti (1 milione 804.274 ascoltatori, il triplo di Battisti).
Resta un dato importante: Battisti ha avuto 20 milioni di streaming. Cioè, è stato ascoltato su Spotify 20 milioni di volte. Facciamo finta che sia avvenuto tutto solo in un mese: dividendo i 20 milioni di streaming per i 600 mila ascoltatori mensili di Battisti, fanno 33,3 canzoni a testa. Poco più di una al giorno.
Insomma, è giusto gioire per Lucio, così come ribadire che il fatto che le sue canzoni siano ora disponibili su Spotify sia un grande valore per tutti noi, ma il successo che alcuni media stanno raccontando non c'è. O meglio: è molto più contenuto di quanto i bias cognitivi ce l'abbiano fatto apparire.