Lucidità: vedere le cose come sono, sapere scorgerle secondo ottiche che anche retrospettivamente si dimostrano vere. Impressioni e sensazioni, per chi sia lucido si traducono rapidamente in dati chiari e distinti, mentre per gli altri restano nebbiose avvisaglie difficili da districare. La capacità di osservare, per le menti lucide insomma è atto spontaneo, naturale, per quelle che in principio lucide non lo sono invece sforzo immane, compreso quello di non cedere alla tentazione di ammantare di veli abbellitivi la realtà. Parlando dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, Emil Cioran argomenta simile distinzione, soffermandosi soprattutto sulla seconda categoria, quella di coloro che arrivano alla lucidità tardivamente, per causa di «verità irrespirabili, alle quali niente li aveva preparati» e per i quali il vedere le cose con chiarezza, anziché uno stato di grazia fortunato per lo spirito e la mente, costituisce piuttosto un “colpo” sopravvenuto in seguito a disgrazie, crisi, altre rovine.
Fitzgerald era agli occhi di Cioran tra questi esseri umani, solo tardi costretti alla realtà: la bellezza del romanzo Il Grande Gatsby o delle novelle dello scrittore americano, al mordace aforista rumeno sfuggiva del tutto. Eppure in quel genere di lucidità tardiva, densa di sensibilità residua, lì anche e soprattutto sta molte volte la grande letteratura.
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