Luci e ombre del lavoro nel "contratto di Governo"
Non sono citate nel documento, quindi non sono considerate prioritarie, questioni come la «cancellazione del Jobs Act» o la «reintroduzione dell'art. 18» dello Statuto dei Lavoratori: ciò vorrebbe dire confermare, dunque, le scelte fondamentali fatte dagli ultimi due Governi a guida Pd. Ed è un bene per la competitività del nostro Paese. È citata, invece, la necessità di ridurre il cuneo contributivo sui salari: più che giusto, sapendo che è stata questa misura (del Governo Renzi) lo strumento principale di creazione di nuovi posti di lavoro negli ultimi anni.
Una novità molto importante contenuta nel "contratto" è la profonda riforma e il potenziamento dei Centri per l'impiego. Il loro malfunzionamento – dimostrato dal fatto che oggi solo il 3 per cento (sigh) delle nuove assunzioni passano da queste strutture – costituisce una strozzatura drammatica rispetto all'accesso al lavoro dei nostri ragazzi, soprattutto di quelli meno qualificati e appartenenti ai ceti sociali più bassi. Rendere i Centri per l'impiego efficienti e utili al collocamento dei giovani è probabilmente la strategia migliore anche per riattivare il nostro ascensore sociale. Ovvero per evitare che, come accade oggi, i figli dei baristi non abbiano altra scelta che fare i baristi.
Innovative sul piano politico sono anche la previsione di una legge sul salario minimo orario (per le categorie di lavoratori in cui non sia già prevista dai contratti collettivi) e del divieto del praticantato gratuito negli studi professionali. Misure-bandiera teoricamente condivisibili, ma che è necessario congegnare e attuare in modo equilibrato per evitare di trasformare un diritto sacrosanto in un "dirittismo" capace di irrigidire eccessivamente i (primi) contratti di lavoro.
A fronte dell'intelligente pragmatismo che caratterizza tutte queste misure, ha invece un sapore ideologico e retrò l'ostilità dichiarata nei confronti dell'alternanza scuola-lavoro, definita «dannosa» (senza controlli sulla qualità delle attività e sull'attitudine con il ciclo di studi). Abbandonare una strategia appena iniziata, e assolutamente necessaria per evitare che i giovani italiani escano dalle scuole superiori spaesati e inconsapevoli del mondo del lavoro, sarebbe un grave errore. E un danno causato a quegli stessi ragazzi che oggi chiedono di preservare il modello di una scuola "turris eburnea".
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