Luci e ombre dei giganti delle «petizioni online»
La libertà, cantava anni fa Gaber, è partecipazione. Le petizioni online ne sono un ottimo esempio. Ma come funzionano le piattaforme che le raccolgono e le rilanciano e chi le gestisce?
Cominciamo col dire che la prima petizione online fu lanciata nell'estate del 1998. Era rivolta alla squadra dei New York Mets e riguardava il ricevitore di baseball Mike Piazza. Ottenne poco più di 10mila firme grazie a forum, posta elettronica e banchetti. Ma funzionò. Un anno dopo nacque PetitionOnline, la prima piattaforma online di raccolta di petizioni. Da allora ne sono nate decine e decine. Le più grandi, entrambe fondate nel 2007, sono Change.org e Avaaz (anche se quest'ultima ospita ormai soprattutto campagne politiche e sociali).
Il funzionamento è semplice: chiunque può proporre una petizione, su qualunque argomento. Una volta lanciata, i promotori fanno di tutto (soprattutto attraverso i social) per farla conoscere. Nel 2021 Change.org ha ospitato «oltre 57.000 petizioni, che hanno raccolto un totale di oltre 10,8 milioni di firme». Se Avaaz dichiara 69milioni di iscritti in 194 Paesi. Change.org dichiara di averne più di 200 milioni in 196 Paesi (oltre 10 milioni in Italia) e di avere coinvolto quasi 500milioni di persone. E qui nascono i primi problemi. Perché queste piattaforme raccolgono non solo i dati anagrafici e le mail dei creatori delle petizioni ma anche di tutti quelli che le firmano. Col risultato di avere tra le mani enormi database con i dati delle persone che valgono oro. Sarà un caso ma in Italia nel 2007 è nata Firmiamo.it, seguita da Petizioni.it, entrambe di proprietà di Mediaasset che si definisce il primo centro media che offre mezzi efficaci in grado di raggiungere via mail fino a 37 milioni di utenti in Italia profilati per sesso, età, cap, data di nascita, nome e cognome.
Proprio sull'uso dei dati raccolti, mentre il settimanale L'Espresso ha svelato il prezzario dei file con le anagrafiche degli utenti (da 1.50 euro a 85 centesimi a dato). Change.org ha negato, affermando che al centro del loro progetto «ci sono le persone», ma i guai non sono finiti. Dopo le accuse sull'uso dei dati sono arrivate quelle sulla gestione delle donazioni degli utenti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la petizione online più popolare del mondo, cioè «Giustizia per George Floyd», ospitata da Change.org e che ha raccolto oltre 17milioni di firme, promettendo aiuti al movimento Black Lives Matter. Un'autentica vittoria, fino a quando, nel giugno 2020, 140 dipendenti della piattaforma hanno scritto una lettera aperta, sollevando dubbi su etica e trasparenza dell'organizzazione.
Avaaz dal canto suo è stata più volte accusata di essere uno strumento politico nelle mani del magnate Soros. Tutto nasce dal fatto che sia Res Publica che Move on – ossia le organizzazioni che hanno dato vita ad Avaaz – hanno avuto Soros tra i loro finanziatori.
Anche nel mondo cattolico sono nate piattaforme che raccolgono petizioni online. La più famosa è CitizenGO, fondata nel 2013 in Spagna dall'organizzazione ultracattolica HazteOir. È attiva in tutto il mondo, con campagne in 12 lingue. E dice di avere raccolto in totale quasi 17 milioni di firme. A questo punto resta la domanda più importante: quante di queste campagne, siano esse su Change.org, Avaaz o su CitizenGo raggiungono il loro obiettivo? Di dati ufficiali non ne esistono. Solo le piattaforme stesse potrebbero fornirli ma non hanno alcun interesse a farlo.
LA REPLICA DI CHANGE.ORG
Dopo la pubblicazione di questo articolo, Change.org ci ha inviato una replica lunga il sestuplo di quanto da noi scritto sull'organizzazione. Dove ha ribadito che ha raggiunto mezzo miliardo di utenti (noi avevamo scritto 500milioni, cioè la stessa cosa), che ha 11 milioni di utenti registrati in Italia (noi avevamo scritto oltre 10milioni) e che nel 2021, sono state lanciate 37mila petizioni su Change.org in Italia. «Riguardo la petizione su George Floyd e questa affermazione in particolare (“La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la petizione online più popolare del mondo, cioè «Giustizia per George Floyd», ospitata da Change.org e che ha raccolto oltre 17 milioni di firme, promettendo aiuti al movimento Black Lives Matter")".Sorvolando sulla lettera firmata da oltre 100 dipendenti dell'organizzazione che muovevano alcune accuse all’operato di Change.org (e da noi linkata in originale), l’organizzazione ha ribadito che "quando gli utenti hanno deciso di dare un sostegno economico alla petizione, stavano aiutando la campagna a raggiungere un numero maggiore di potenziali firmatari per aumentare il suo impatto, come chiaramente indicato sul sito». Per quanto riguarda la questione della protezione dei dati degli utenti, anche se noi abbiamo scritto che Change.org ha negato le accuse, ci hanno tenuto a ribadircelo: «Change.org non vende e non ha mai venduto i dati dei propri utenti a terzi". Inoltre sono "perfettamente conformi alle leggi sulla protezione dei dati e sulla privacy in tutti i paesi nei quali operiamo (in Italia, al GDPR)». Infine, Change.org ha finalmente risposto alla nostra domanda: quante di queste campagne raggiungono il loro obiettivo?«Nel 2021, circa 2.5 milioni di utenti in Italia hanno visto vincere una o più petizioni che avevano firmato. Ogni ora, nel mondo, una petizione raggiunge la vittoria su Change.org (siamo presenti in 196 paesi)".Seguono 3860 caratteri di esempi virtuosi.Non possiamo che fare i nostri complimenti a Change.org, ma ci chiediamo: perché in nessuna parte del web si trovano i dati sulle loro vittorie che ora ci comunicano? Non sarebbe stato più efficace metterle in bella visto sulla piattaforma?