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Lotta ai falsi, asse con Pechino

Vittorio Spinelli sabato 3 luglio 2004
Una volta si diceva che la Cina era vicina. Lo è anche oggi, ma per altri motivi. E lo è anche in campo agroalimentare. Tanto che, per molte produzioni anche strettamente collegate all'agricoltura dello Stivale, il concorrente più temibile è proprio Pechino. Ma, a ben vedere, questa situazione non è nient'altro che uno degli effetti della globalizzazione che, già da tempo d'altra parte, si fa sentire anche a tavola. E, mentre proprio sul fronte dei rapporti agroalimentari con la Cina le cose cambiano rapidamente, le imprese agricole nostrane sono alle prese con due fenomeni apparentemente divergenti: da una parte il buon andamento delle produzioni e, dall'altra, il peggioramento del deficit con l'estero. Ma perché le aziende cinesi preoccupano tanto i nostri agricoltori? Prima di tutto per le imitazioni e poi per la pesante concorrenza in alcuni comparti. Per quanto riguarda il primo problema, tuttavia, proprio in questi giorni sembra essere stata raggiunta una soluzione. Roma e Pechino, infatti, hanno concluso un accordo per il riconoscimento e la difesa dalle imitazioni dei prodotti
a denominazione di origine. È il risultato di un negoziato che per noi aveva l'obiettivo di bloccare ondate successive di falsi prodotti italiani e, per i cinesi, di farsi un alleato nell'ambito del WTO. Ma per tutto il resto la strada - come fanno notare le organizzazioni agricole di casa nostra, Coldiretti in testa - appare ancora lunga e tortuosa. Basta pensare che nel primo trimestre del 2004 le esportazioni dalla Cina verso l'Italia di pomodori trasformati sono cresciute del 17%. Pomodori che, mescolati con quelli nostri, finiscono per diventare "italiani", vista anche la mancanza dell'obbligo di segnalare in etichetta la provenienza della materia prima. In questo modo, la Cina è il primo fornitore del nostro Paese di concentrato di pomodoro per un volume che supera un terzo della produzione nazionale. Intanto, l'Italia agricola sembra recuperare una parte del terreno perso nel 2003. Stando alle indicazioni Ismea, infatti, la produzione agricola 2004 dovrebbe crescere del 3%. Non così sarà per l'occupazione che dovrebbe diminuire dell'1,7%. In peggioramento anche la bilancia degli scambi con l'estero. Insomma, le aziende agricole si trovano in una situazione che non è nuova: da un lato devono affrontare la concorrenza del mercato, anche mondiale, dall'altro devono ancora concludere un lungo processo di ristrutturazione iniziato qualche decennio fa. Una strada segnata dall'innovazione tecnologica ma anche dalla perdita di forza lavoro, così come da una razionalizzazione dei canali commerciali e delle forme di valorizzazione.