Visioni. Lode di commiato
Se nel Cantico delle creature San Francesco ringrazia il fuoco per illuminare (“enallumini”) la notte, lo fa secondo alcuni in senso di retorica forma di ringraziamento per le (vane) cure con cui si tentava di medicare i suoi occhi malati, ormai gravemente compromessi nella vista. “Frate focu” andrebbe dunque letto sia nel significato di elemento luminoso e rigeneratore, sia in quello più tangibile di fuoco del calore del ferro arroventato che avvicinatogli alle tempie veniva testato per rallentare in Francesco il progressivo disturbo oftalmologico che lo assediava.
Interpretazione legittima e che suggerisce altri pensieri. L’intero Cantico delle creature potrebbe leggersi allora come un commiato dal mondo, quel mondo nella condizione di crescente cecità visto, contemplato, accolto e ammirato sempre meno, secondo margini e porzioni di spazio via via più esigui. E tutto il felicissimo profluvio di parole dell’ode, leggersi come risultato di stesso slancio di stupore, di meraviglia, di gratitudine, ma anche lamento di più aspra nostalgia. Nostalgia premonitrice, tormento di chi stia prendendo congedo da una realtà e un mondo intero che di lì a non molto non sarà più in grado di vedere, che non gli sarà più dato ammirare in nessuna forma, grazie a nessun elemento, fuoco compreso.