Ètroppo ovvio dire che il crescente interesse che negli ultimi vent'anni si concentra sul cervello umano è il sintomo di una paura? Paura di che? Ovviamente paura, più o meno consapevole, di perdere il cervello. Paura che non funzioni bene, sensazione che in fondo la nostra vita, le nostre azioni e capacità, il nostro destino dipendano dallo stato, dalle funzioni, dall'efficienza del nostro cervello. Naturalmente si parla di cervello per dire mente, intelligenza, coscienza, emozioni e desideri, capacità di intendere, volere, decidere, memorizzare, lavorare bene ecc. Il fatto è che le neuroscienze, se vogliono restare scienze e accreditarsi professionalmente come tali, devono fondarsi sulle modalità attuali più avanzate della ricerca, quelle che la “comunità scientifica” riconosce come tali. Eppure nella mente, nel cervello di cui abbiamo bisogno tutti i giorni, anche per orientarci nello spazio e nel tempo e per compiere le azioni più comuni, proprio lì si nascondono misteri non chiariti. Dietro o in fondo a un cervello c'è una mente cosciente e volente? Dietro la mente c'è una psiche? C'è un'anima? Dietro o in fondo a un'anima, c'è dell'altro? Nelle prime righe della prima pagina di un libro dello scienziato olandese Dick Swaab, Noi siamo il nostro cervello, pubblicato recentemente da Castelvecchi (pagine 374, euro 19,50) si legge: «Questo secolo ha di fronte a sé almeno due giganteschi interrogativi scientifici: come è nato l'universo e come funziona il nostro cervello». Ora è innegabile che una tale frase la dice lunga. Se la conoscenza che abbiamo del nostro cervello può essere messa in parallelo con quella che abbiamo sull'origine dell'universo, questo significa che sappiamo davvero poco. E se sappiamo poco del nostro cervello e «noi siamo il nostro cervello», che cosa sappiamo di noi? Quale misterioso o metaforico Big Bang è all'origine di quello che siamo? E se noi siamo il nostro cervello, non si può forse dire, invece, che il nostro cervello è quello che noi siamo, è la vita che facciamo, «come pensiamo, soffriamo e amiamo» (come dice il sottotitolo del libro)? Questa non è certo materia esclusiva per neuroscienziati e psicologi. Se la società in cui viviamo non è che l'altra faccia o meglio la proiezione materiale del nostro cervello-coscienza, noi siamo la cultura sociale in cui viviamo. Cosa ne sta facendo una tale cultura sociale dei nostri poveri cervelli? Come ci spinge o ci costringe a usarli?