Lo strenuo grido di dolore di Tippett nel suo oratorio contro l'Olocausto
Non ci pensò due volte Michael Tippett (1905-1998) a esternare il proprio dissenso; musicista sensibile e convinto pacifista, tra il 1939 e il 1941 affidò al pentagramma il suo moto di sdegno, il grido di dolore e di denuncia, ma anche la sua intima speranza in un futuro migliore. Nacque così A Child of our Time, oratorio su un testo poetico scritto dallo stesso compositore inglese (dietro incoraggiamento di Thomas Stearns Eliot, che declinò l'invito dell'autore a occuparsi del libretto), optando per un titolo ispirato a un racconto di Ödön von Horváth incentrato sulla figura di un soldato nazista che soffre indescrivibili patemi ogni qualvolta prova sentimenti di compassione nei confronti del prossimo.
Con un chiaro riferimento strutturale al Messiah di Händel, l'opera è suddivisa in tre distinte sezioni, contrappuntate nei punti chiave dalla rielaborazione sinfonico-corale di cinque celebri spiritual derivati dalla tradizione nera nordamericana " da Nobody knows the Trouble I See a Go Down, Moses " chiamati a ricoprire una funzione simile a quella dei Corali nelle Passioni bachiane: momenti privilegiati di riflessione psicologica e di partecipazione emotiva, dove l'ascoltatore viene chiamato a rivivere l'abisso di sofferenza e oppressione in cui l'uomo cade quando diventa vittima delle forze del male.
A capo delle formazioni della London Symphony Chorus and Orchestra e di quattro cantanti solisti di forte carattere (Indra Thomas, Mihoko Fujimura, Steve Davislim e Matthew Rose), di A Child of our Time il maestro Colin Davis offre un'interpretazione drammaticamente immedesimata, che evidenzia l'urgenza del messaggio e il portato simbolico ed esistenziale di questa "musica della memoria", in cui storia e arte si fondono insieme per ribadire il loro insostituibile ruolo di maestre di vita.