Pura invenzione la corrispondenza epistolare di Seneca con san Paolo, indimostrata la sua conversione al Cristianesimo , incomprensibile la qualifica di santo attribuitagli da san Girolamo; al contrario, le severe testimonianze degli storici ritraggono un uomo avido di averi e di potere, non alieno dal praticare l'usura, al punto che Agostino ne fa un campione di incoerenza. Eppure il filosofo di Cordova - che per primo rilevava il divario tra la propria vita e la propria dottrina, e che pertanto invitava a seguire non i suoi esempi ma i suoi precetti - ha formulato insegnamenti di rara umanità e nobiltà, soprattutto in riferimento allo straniero. Partendo dal principio che ogni uomo è «cittadino del mondo», alla domanda «come dobbiamo comportarci con gli uomini?» (Lettera 95, 51), Seneca prescrive queste linee di comportamento: «porgere la mano al naufrago (naufrago manum porrigere), indicare la via a chi è smarrito (erranti viam monstrare), dividere il pane con l'affamato (cum esuriente panem suum dividere)». Di fronte a questo triplice precetto enunciato da un pagano, ma di evidente consonanza evangelica, dovrebbero riflettere e arrossire quei cattolici che, pur fedeli alla Messa domenicale, non si fanno alcuno scrupolo di mostrare sia in pubblico che in privato la loro insofferenza e ostilità verso gli immigrati.