LO SPRECO
Spero che nelle scuole superiori si studi ancora il pensiero di Francesco Guicciardini, storico e politico della repubblica fiorentina del Quattro-Cinquecento. Un «vecchio professore di liceo» - così si firma - mi invia questa e altre citazioni dei Ricordi politici e civili, forse l'opera teorica maggiore dello scrittore di Firenze. Il tema è evidente, il risparmio. Per affinità a me viene in mente un passo di un libro che ho letto nell'adolescenza, il famoso romanzo David Copperfield che lo scrittore inglese Charles Dickens pubblicò nel 1850: «Entrate annue: venti sterline. Spese annue: diciannove sterline e mezza. Risultato: felicità. Entrate annue: venti sterline. Spese annue: venti sterline e mezza. Risultato: miseria».
L'equazione sarà un po' sbrigativa, ma il monito è chiaro. Certo, si può essere economi fino a rasentare l'avarizia (che è un vizio capitale); si può da parsimoniosi diventare micragnosi, da sobri taccagni, da investitori attenti ci si può trasformare in spilorci pidocchiosi. Ma ai nostri giorni, col tamburo battente della pubblicità, è ben più facile che si scivoli nello spreco senza criterio. Spesso si diventa spendaccioni privi di ritegno e senza pensare al futuro, nella convinzione che è la collettività che dovrà farsi carico di un'eventuale indigenza. I figli per primi sono abituati dai loro stessi genitori ad avere tutto divenendo, così, pretenziosi e scialacquatori, sbruffoni e dissipatori. Alla fine è anche una questione di dignità che viene perduta, quando - bruciato quello che si aveva in uno scialo insensato - si ricorre agli altri o all'assistenza pubblica.