C’è un tema di attualità in politica, nella società civile e naturalmente anche nello sport: la “questione morale”. Lo sport ha sempre avuto un vantaggio: il codice etico è parte integrante delle regole del gioco, non rispettare le regole significa automaticamente subire una penalità, una squalifica, perdere. O almeno così dovrebbe essere, certo magari non subito (pensate alla vicenda del sette volte vincitore del Tour de France Lance Armstrong), ma in termini generali qualunque bambino che si avvicini allo sport capisce subito che un certo codice di comportamento è necessario al fine stesso di poter giocare. Il primo a mettere le cose in chiaro fu don Bosco: «Quando vedo i giovani tutti occupati nel gioco, son sicuro che il demonio ha un bel fare, ma non riesce a nulla». Fu da quel momento che la storia degli oratori e di tanti giovani si è intrecciata con lo sport. Voglio fare un esempio che si riferisce alla mia città, Torino, dove don Bosco operò a lungo. Quanti religiosi, a Torino come in tante altre grandi città o comuni di questo Paese, hanno tirato su la tonaca per rincorrere una palla su un campo spelacchiato? Così faceva don Aldo Rabino, mi si permetta un ricordo personale, sacerdote salesiano che aveva un’incrollabile fede religiosa e una passione smisurata per il suo Toro. Ex promessa del calcio, fu ordinato nel 1968 diventando, per oltre quarant’anni, cappellano e padre spirituale della squadra del Torino. A lui spettava la celebrazione della Messa, ogni 4 maggio, a Superga e in lui hanno trovato parole di conforto tanti calciatori che hanno vestito la maglia granata. Don Aldo credeva nello sport come strumento educativo, tanto in serie A quanto negli oratori, luoghi ideali per esercitare la sua missione, terminata troppo presto a causa di un infarto, nell’estate 2015. A Torino molti sono stati gli oratori che hanno regalato campioni allo sport e cittadini più consapevoli alla società civile. L’oratorio San Paolo di via Luserna, in Borgo San Paolo, quello dove don Aldo aveva incominciato, ma allo stesso modo Valdocco, Agnelli, Crocetta (dove a differenza di tanti oratori a vocazione calcistica, nacque una vera epopea del basket cittadino), Rebaudengo, Valsalice, Vianney hanno formato generazioni intere di uomini e di donne. Curioso il caso dell’oratorio della chiesa di Santa Caterina da Siena in via Sansovino: la zona della parrocchia si popolò con l’ondata dei profughi provenienti da Dalmazia, Istria e dalle città di Fiume e di Pola che, dalla metà degli anni Cinquanta, alloggiarono in case popolari messe a disposizione dal Comune. L’area prese il nome dalla parrocchia: “villaggio Santa Caterina”. Il campo di calcio dell’oratorio si riempiva e sfornava un numero incredibile di talenti: lì, ancor prima dell’arrivo degli esuli istriani, aveva cominciato Tony Giammarinaro, il capitano della Primavera del Torino che conquistò lo “Scudetto delle lacrime” dopo Superga. Poi Franco Sattolo, nato a Fiume, portiere di Sampdoria e Torino negli anni Settanta, e due ragazzi nati a Pola: Claudio Rimbaldo, che nel 1961 vinse la Coppa delle Coppe con la Fiorentina, e Luigi Bodi, 113 presenze in Serie A con Toro, Bologna e Atalanta o, ancora, Livio Manzin, centrocampista di Bari e Lecce, e Giorgio Mastropasqua, libero di Juve, Atalanta, Lazio. Talvolta per imparare qualcosa in più sulla “questione morale”, basta guardare indietro, verso chi il problema lo ha già risolto. Magari è struggente, ma è indispensabile farlo.
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