Oggi, 1° maggio, è la giornata universale che celebra la festa dei lavoratori e delle lavoratrici. Quella di oggi sarà la prima volta in cui, in Italia, si potranno considerare tali anche i lavoratori sportivi. L’entrata in vigore nel luglio scorso della legge di riforma del lavoro sportivo ha, infatti e finalmente, determinato l’esistenza di centinaia di migliaia di uomini e di donne che hanno dedicato la loro intera esistenza allo sport e che erano fantasmi senza alcuna tutela legislativa, assicurativa, previdenziale. Questa nuova riforma, il cui iter iniziò più di cinque anni fa, ha certamente portato in luce la dignità di questo ruolo, ma sta anche creando – come tutte le cose giuste, ma applicate male – considerevoli problemi soprattutto per le società piccole, quelle che si occupano di sport sociale e che si sono trovate a dover gestire un impatto burocratico ed economico cui non erano abituate. È evidente che l’entrata in vigore della legge è un punto di non-ritorno perché, come succede in tutti i Paesi europei, lo sport possa diventare una cosa seria e coerente con la recente riforma costituzionale che, dal 20 settembre 2023, fa sì che l’attività sportiva in tutte le sue forme sia riconosciuta dalla Repubblica per il suo «valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico», così come recita il nuovo comma all’articolo 33.
Serve un lavoro comune per rendere solido e sostenibile questo modello, in modo che non ne subiscano le conseguenze quelle realtà che fanno sport per tutti, grazie al volontariato e a una certa dose di testardaggine, normando lo sport orientato alla prestazione e tutelando lo sport che spesso si sostituisce allo Stato in progetti di inclusione, senso civico, qualità della vita.
Non potrei avere occasione migliore per celebrare, oggi, una favola sportiva che è stata capace di tenere insieme queste due anime: nello scorso weekend la società di pallavolo maschile di Grottazzolina, comune marchigiano in provincia di Fermo, ha coronato una rincorsa iniziata cinquanta anni fa, ottenendo la sua prima storica promozione in serie A1 (oggi si chiama “Superlega” e tutti gli addetti ai lavori la considerano la Nba della pallavolo mondiale). Grottazzolina conta ufficialmente 3.218 abitanti, neonati e centenari inclusi. Al palazzetto dello sport mediamente sono presenti mille di loro e, nell’ultima trasferta a Siena decisiva per la promozione, 600 si sono messi in viaggio per andare a tifare. È un gioco, lo so, ma rispettando le proporzioni, è come se mezzo milione di milanesi frequentasse regolarmente lo stadio Meazza o mezzo milione di romani si mettesse in viaggio per seguire la propria squadra per una finale in trasferta. La storia d’amore fra Grottazzolina e il volley è una favola che ha radici intimamente connesse e inscindibili: già alla fine del secolo scorso per due volte la squadra andò vicinissima alla promozione in massima serie, fermandosi solo all’ultima partita. Poi vennero anni difficili, la ripartenza dalla serie C, un lavoro capillare sul settore giovanile che oggi conta oltre 250 ragazzi. Negli Stati Uniti ci avrebbero già fatto un film e io, se penso allo sport come “fatto sociale totale”, senza dubbio penso al volley a Grottazzolina.
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