Domenica di Pentecoste
Anno B
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.»
Nella prima lettura degli Atti viene detto: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa…” Eccolo all’improvviso, lo Spirito promesso da Gesù, Colui che consola e orienta lo sguardo, i passi, il cammino, come una stella, nel mare di notte.
È lo stesso che, nella lingua ebraica, viene chiamato “Ruah” e che si traduce con respiro, soffio, alito, vento, lo stesso che aleggiava sul caos prima della creazione, quello che animò Adamo, che riempì Maria quando l’angelo le annunciò la nascita del Figlio. Dove c’è Lui c’è vita; qualcosa di nuovo, di vivo, di impensato ha inizio. Il respiro di Dio entra nei polmoni della vita, le dà ossigeno, la smuove e, come per i contadini che festeggiavano la mietitura, la fa ballare.
“La burocrazia non soffochi mai le indiscipline dello Spirito Santo”, scrive l’Abbé Pierre: Spirito indisciplinato, quello di Dio, che non sta alle regole, ai calcoli, agli schemi, ai programmi che ci facciamo, ma che scompiglia, spettina i capelli come vento, muove e spazza via la polvere e la cenere della morte. Sempre per la vita, sempre a soffiare semi, dove vuole, quando vuole, anche nei momenti in cui tutto ci appare impossibile. Come quando i discepoli pensavano che ormai fosse tutto finito, che la morte avesse chiuso tutto, sprangato i sogni, seppellito ogni tenerezza. E invece, sempre per la vita lo Spirito creatore, quello che consola, Lui che “asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi”.
Non lo imbrigli, come non riesci ad imbrigliare il vento, devi imparare a lasciarti gonfiare le vele e navigare portato da lui, dalla sua fantasia. È questa la verità a cui mi conduce? Questo imparare ad affidarmi, a favore di vento, nella follia di rinunciare alla rotta?
“Come il vento passa sulla cetra e le corde parlano, così nelle mie membra risuona lo Spirito del Signore e io parlo nel suo amore”, è scritto nelle Odi di Salomone: una musica nuova, che io non conosco, incomprensibile secondo i miei schemi, ma è il respiro di Dio, il polline di Dio che esplode nella vita.
Peccato che nel giorno della nostra Pentecoste non venga letto il versetto finale del racconto degli Atti: “Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che significa questo?». Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce»”. Ubriachi gli Apostoli, ubriachi noi, ma con quell’ebbrezza addosso che fa sembrare tutto più facile, tutto più bello, tutto più possibile: perché confusamente avvertiamo che niente,
proprio niente, sarà mai impossibile a Dio. Ubriachi di Dio, insomma.
(Letture: Atti 2,1-11; Salmo 103; Galati 5,16-25; Giovanni 15,26-2716,12-15)
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