Lo smartphone ci ascolta e ci spia (ma non come crediamo)
Il titolo non lascia spazio a dubbi: «Non sei paranoico: il tuo telefono ti sta davvero ascoltando». La tesi, non nuova, è tornata alla ribalta ieri, rilanciata con forza dal quotidiano americano Usa Today e dal canale Fox News. Il punto di partenza è il solito: ognuno di noi, almeno una volta, si è ritrovato su web e social annunci pubblicitari legati ad argomenti dei quali aveva parlato, qualche ora prima, con un suo interlocutore.
Facebook, nonostante le continue accuse, sono anni che smentisce di usare le sue app per ascoltare ciò che dicono le persone. D'altra parte l'idea che sia tutto frutto del caso o della bravura dei sistemi di tracciamento fatti in base a ciò che clicchiamo o guardiamo, a molti sembra troppo limitata. E pazienza se ci sono studi fatti da società specializzate in sicurezza informatica come Wandera o quello della Northeastern University di Boston (condotto su più di 17mila delle più popolari app) che confermano che Facebook non ci ascolta. Per noi, utenti medi, il cellulare ci ascolta.
Se ci pensiamo bene, il fatto che Facebook non ci ascolti non significa che nessuno lo fa e nemmeno che qualcuno magari lo faccia per lei. Esistono infatti centinaia di società che, per esempio, usano app di gioco apparentemente innocue, le quali mentre giochiamo (e persino quando sono spente) attivano i microfoni degli smartphone per tracciare quali programmi tv, quali video e quali film guardiamo (anche al cinema) e che poi rivendono i dati raccolti ai grandi gruppi, in modo che ci possano offrire pubblicità sempre più mirate e quindi efficaci.
Tempo fa il New York Times ha scoperto che la società Alphonso ha creato un software spia che fa proprio questo e che è
utilizzato da oltre mille app di gioco. Una volta scaricate, il giocatore dà il permesso al gioco di accedere al microfono del cellulare e così, inconsciamente, accetta di essere spiato. «Il nostro software – ha fatto sapere Alphonso – ignora le voci umane». Ma nessuno sa esattamente cosa facciano software simili usati da altre app.
L'arrivo di servizi come Siri, Alexa e Google Home ha aumentato in maniera esponenziale i rischi. Così come la presenza nelle nostre vite di numerosi altri apparecchi digitali (dalle smart tv ai pc) dotati di microfoni. Tutto questo ci ha portato in una situazione strana. Nessuno sembra avere prove certe che i sistemi ci ascoltino come farebbe una spia in carne ed ossa, cioè cogliendo il senso completo di ciò che diciamo. Tanto più che servirebbero un sistema di computer potentissimo e un'intelligenza artificiale così raffinata da essere al momento di difficile implementazione. D'altra parte per catturare da una conversazione singoli vocaboli (quelli che gli investitori vogliono monitorare) non sembrano servire sistemi irrealizzabili.
Se dalle sensazioni e dalla probabilità passiamo ai fatti, ce n'è uno incontrovertibile: ancora una volta sta a noi decidere. Perché è vero che il mondo digitale è sempre più aggressivo e invadente (e lo sarà sempre di più), ma è altrettanto vero che ha quasi sempre vita facile perché siamo noi a permetterglielo.
Già: siamo noi ad accettare che i microfoni dei cellulari siano attivati da app che lo fanno anche quando le abbiamo chiuse. Siamo noi che accettiamo che Siri o Google Assistant ci ascoltino in cambio della comodità di dettare ricerche e messaggi invece che scriverli. E siamo noi che dobbiamo sapere che Amazon ha avuto ben più di un problema perché Alexa registrava le richieste degli utenti.
Perché è utile, divertente e pratico avere tanti assistenti digitali in casa o sul telefonino, ma poi c'è la realtà. Quella dove «Facebook non ascolta le persone», ma dove il suo proprietario, Mark Zuckerberg, vive coprendo con del pesante nastro adesivo nero la telecamera e il microfono del suo pc per non essere spiato.