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Limiti e virtù di una Bce autonoma dalla politica

Marco Ferrando domenica 15 settembre 2024
Che serà, serà... Così la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha risposto a chi le chiedeva come intenda muoversi nei prossimi mesi l’istituto di Francoforte rispetto a ulteriori tagli dei tassi (con relativi benefici per i creditori). La battuta ci sta e rende l’idea della situazione in cui ci troviamo, compreso quel senso di incertezza strutturale dato da una congiuntura
mai così difficile da decifrare, visto l’incrocio tra tensioni geopolitiche ed economiche in atto. La Bce giovedì ha fatto quanto tutti si aspettavano, e ha ridotto di un quarto di punto i tassi di interesse. Il mercato lo dava per certo, tanto è vero che da mesi gli indici di riferimento dei mutui hanno iniziato a scontarlo e hanno iniziato una corsa al ribasso che li ha portati su livelli decisamente più abbordabili di quelli toccati un anno fa. Ciononostante c’è chi auspicava una mossa «più coraggiosa», come ha detto il vice premier Antonio Tajani; non è la prima volta che i governi, Italia in primis, intervengono sulle scelte di politica monetaria, ma questa volta si è innescato un battibecco che ha elementi di interesse. Perché nel ricordare che «la Bce è un’istituzione indipendente e che non è soggetta a pressioni politiche di alcun tipo», Lagarde ha giustamente richiamato i Trattati europei che hanno disegnato l’architettura comunitaria, l’euro e il ruolo della Banca centrale. Non sono dettagli, considerata la rilevanza che hanno i suoi interventi sull’economia e sulle tasche delle famiglie. Circa l’indipendenza, è un fatto e anche - per molti aspetti - un bene: basta guardare cosa capita negli Stati Uniti con la Federal reserve, che nella sostanza deve rendere conto del proprio operato alla Casa Bianca e che dunque risente pesantemente del clima politico che si respira nel Paese e delle esigenze del presidente di turno.
Per fortuna la Bce è immune da tutto questo, che nel contesto europeo - dove comandano i singoli Stati - renderebbe impossibile qualunque tipo di mediazione fra le
istanze nazionali; ma proprio qui e proprio per questo intorno alla Bce si aprono spazi importanti per esercitarsi su una politica monetaria che, agendo su una moneta unica, può avere impatti ben più efficaci di molte delle politiche adottate dalle istituzioni comunitarie e nazionali. Forse chiedere alla Bce «più coraggio» è troppo, ma certo un po’ più di consapevolezza del proprio ruolo potrebbe dare una spinta più efficace a un’Europa sempre un po’ appannata e aiutare quel processo di integrazione di cui la Bce è, volente o nolente, una sorta di apripista. Certo i trattati citati dalla Lagarde si concentrano sulla lotta all’inflazione, restando - come denunciato ancora ieri dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli - molto più vaghi su tutti gli altri compiti, a partire dal sostegno allo sviluppo di cui attualmente la Bce è titolare solo indirettamente: un intervento sulle regole del gioco, in questo caso, potrebbe avere sicuramente senso. Un dato è incontrovertibile: in un’economia sempre più connessa e tecnologica come quella di oggi, il credito resta uno dei pochi ingranaggi veramente chiave: i mutui segnano la vita delle famiglie, le condizioni creditizie possono sostenere o zavorrare le imprese, i tassi possono far respirare o soffocare gli Stati più indebitati. Toccare questo ingranaggio, in un modo o in un altro, significa intervenire pesantemente sulla vita delle famiglie, delle imprese e sui bilanci nazionali. Non è un caso che sulle banche centrali ci sia tanta attenzione,
non è un caso che nelle ultime ore sia tornata sul tavolo l’ipotesi di un prelievo fiscale sugli extraprofitti bancari. L’idea ci può stare, certo si tratta di maneggiare con cura. © riproduzione riservata