Leggo nelle prime pagine di Shantaram, straordinario romanzo di Gregory David Roberts: «Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell'amore, del destino e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l'essenziale però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Fra le urla silenziose che mi squarciavano la mente, riuscii a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo, ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando, oppure di perdonarli....». È proprio così. Libertà e perdono sono un desiderio insopprimibile e una grande virtù, due concetti diversi ma favolosi se messi insieme. Perché fanno riflettere, e se ci pensi ti convincono che la libertà va conquistata, ma può esistere a prescindere nella propria mente, anche quando non c'è fisicamente. Più prezioso allora è il perdono: perché va concesso. Spesso non ne siamo capaci, lo consideriamo come una dimostrazione di debolezza. Invece è probabilmente l'atto più coraggioso che ci sia. Il perdono ci rende migliori, o comunque diversi. Anche se a volte perdoni gli altri non perché lo meritino, ma perché tu vuoi meritarti di vivere in pace. E la possibilità di deciderlo è una forma di libertà. La più difficile, la più grande.