Libero in Uzbekistan il reporter più vessato
Amnesty International, che si è mobilitata per lui sin dall'arresto e aveva inserito il suo caso nella campagna "Stop alla tortura", spiega: «Bekzhanov è stato condannato nel 1999 a 15 anni con la falsa accusa di aver collaborato all'organizzazione di una serie di attentati; poi nel 2014 gli erano stati inflitti altri quattro anni e otto mesi per una presunta violazione del regolamento interno della colonia penale dove era detenuto». È una pratica comune in questo Stato autoritario: a un altro noto oppositore, l'ex parlamentare Murad Dzhuraev incarcerato nel 1995 per "reati politici" è stata estesa la condanna per non aver pelato le carote secondo la procedura stabilita dalle norme del carcere. Nel 2015, nel giorno del 61° compleanno di Bekzhanov, Amnesty aveva lanciato una mobilitazione, con 140mila attivisti che avevano scritto al presidente.
Secondo l'associazione, «la tortura è diventata una caratteristica distintiva del sistema penale uzbeko, usata per contrastare il dissenso»: la condanna di Bekzhanov si basava infatti su una confessione, subito ritrattata, estorta dopo essere stato picchiato con manganelli e bottiglie, soffocato e sottoposto a scariche elettriche.