Liberare la democrazia e l'immagine di Dio
Per l'autore dell'editoriale la sorpresa viene dall'attitudine del perdente, Mahamane Ousmane, già presidente delle Repubblica e deposto dal colpo di stato del 1996 che portò al potere il generale Ibrahim Baré Mainassara. Ci sarebbe da domandarsi se, in quel caso, i putchisti che avevano rovesciato il primo presidente democraticamente eletto del Niger, abbiano peccato contro la volontà di Dio che aveva scelto Ousmane. Oppure se si debba presumere che allora ci sia stato un cambiamento di regime divino che avrebbe "esautorato" l'eletto per favorire chi aveva preso il potere con le armi e che, drammaticamente sarebbe stato ucciso dalla sua stessa guardia presidenziale appena tre anni dopo… Vediamo dunque che il "volere divino", se preso sul serio, appare come variabile molto dipendente degli interessi della classe o del ceto dominante in un momento particolare della storia.
L'attuale Costituzione della settima Repubblica nigerina sancisce la separazione tra Stato e religione, infatti all'art. 8 si legge: «La Costituzione vieta la discriminazione religiosa e prevede la libertà di religione e di culto compatibili con l'ordine pubblico, la pace sociale e l'unità nazionale. Prevede la separazione tra lo Stato e la religione e vieta i partiti politici a carattere religioso». Tutto chiaro, come sempre, sulla carta, addirittura costituzionale. L'affermazione del giurista, filosofo e politologo tedesco Carl Schmitt, per cui i concetti di base dello Stato moderno non sono altro che teologia politica, si conferma anche a queste latitudini. In vari Paesi del Sahel, innegabilmente marcati dalla religione islamica, chi governa non potrà prescindere dall'appoggio, esplicito o implicito, della religione e soprattutto dei leader religiosi. L'antica lotta tra potere secolare e potere spirituale che l'Occidente ha conosciuto, sofferto e tentato di risolvere con la "laicità", in questa parte del mondo non è risolto se non a livello di princìpi costituzionali ispirati dalla giurisprudenza occidentale. Di qui il non adeguamento tra lo spirito della Costituzione e la sua traduzione nel foglio politico di Stato. L'autonomia della Repubblica, delle sue istituzioni e dello stesso pensiero politico rispetto ai dettami religiosi è e resta puramente teorica. E così si spiega la riflessione "teologico-politica" del giornalista pubblicata nel settimanale citato.
Dio, in quest'ottica, diverrebbe complice o autore dei mandati "eterni" di vari presidenti africani, delle dinastie che hanno accaparato e confiscato il potere per intere generazioni. Ma questo significherebbe credere in un Dio che, tramite elezioni più o meno di sabbia, prende partito, appoggia, conferma e in definitiva "governa" un popolo tramite il suo "eletto"! Implicherebbe dunque il delitto di sacrilegio o almeno di "insurrezione teologica" a carico di contestasse il risultato del voto e rivendicasse un altro tipo di gestione del potere. Vorrebbe dire, in definitiva, che la democrazia è 'divinizzata' e che ogni tentativo di correzione o riforma andrebbe contro la volontà di Dio. De-divinizzare la politica, rispettare la sovranità del popolo e liberare la nostra immagine di Dio è il cammino.
Niamey, 28 marzo 2021