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LetteraturaDante e Chesterton, due «fratelli» pellegrini nella bellezza

Maria Romana De Gasperi mercoledì 16 luglio 2014
Andrea Monda«Mi sono fatto pellegrino, per guarirmi dall'essere un esiliato», dice di sé Innocenzo Smith, il protagonista de Le avventure di un uomo vivo, il miglior romanzo di G.K. Chesterton, ma così avrebbe potuto dire di sé anche Dante Alighieri, poeta esule che si è fatto pellegrino e ha attraversato inferno, purgatorio e paradiso trasportando con sé anche tutto il mondo, fede e libertà, spirito e materia, ragione e profezia, in una visione che ha commosso, cambiato e coinvolto tutti i suoi lettori da oltre sette secoli. E così dice anche Annalisa Teggi, traduttrice sia di Dante (sua la cura della nuova edizione dell'Epistola a Cangrande) sia di Chesterton, che in Capriole cosmiche. Da qui all'eternità (e ritorno) per mano a Dante e Chesterton (Lindau, pagine 148, euro 16,00) si è fatta pellegrina tra un capo e l'altro della storia e della geografia letteraria occidentale, partendo dalla Firenze del '300 per arrivare alla Londra a cavallo tra '800 e '900, andando a congiungere due autori così lontani ma che invece si rivelano fratelli. Forse Borges aveva intuito una fratellanza tra i due, ma nessuno, nemmeno il geniale poeta argentino, aveva dedicato un intero saggio a intrecciare i destini letterari di questi due giganti dello spirito; la Teggi ha osato e la sua scommessa l'ha vinta, grazie a due elementi intrinsecamente collegati: la conoscenza e l'amore verso questi due artisti, nei confronti dei quali l'autrice sente un preciso e pressante obbligo di riconoscenza. I due poeti cantano in coro in fondo lo stesso tema musicale: la bellezza paradossale della vita. Il viaggio di Dante parla di un uomo cha va da vivo all'altro mondo, e dal buio del suo esilio fece sbocciare una “commedia”; Chesterton dichiarò che era una cosa dell'altro mondo essere vivi su questa terra, e parlò di meraviglia a un mondo letterario che raccontava il “cuore di tenebra” e la “terra desolata”. Entrambi, dunque, fecero le “capriole”: misero sotto sopra cielo e terra, per svegliare l'uomo comune dalla pigrizia, dallo smarrito vagare nella selva delle proprie tristezze. Un punto di vista paradossale è una grande risorsa per vedere il mondo, perché solo ribaltando tutto ci si accorge di cosa sta veramente in piedi: solo scendendo all'inferno si può uscire a riveder quanto son belle le stelle, solo uscendo dalla porta e facendo il giro del mondo si può ritrovare casa propria e accorgersi di quanto sia preziosa.