Le violenze del Sahel e le sue prigioni reali
Ma qui, e in tutto lo spazio del Sahel, le peggiori prigioni sono altre. Per esempio quella della violenza disarmata di cui l'ingiustizia costituisce la fonte di approvvigionamento principale. Proprio l'ingiustizia, trasformata in fenomeno naturale o culturale, è alla radice dell'esclusione sociale della maggior parte dei cittadini del Paese. Chi non ha (denaro, beni e, dunque, potere) non è nessuno, e la sparizione forzata di persone nel Sahel rende visibile quanto la società stava già producendo. La presa in ostaggio dell'educazione statale, svuotandone il senso di luogo di trasmissione creativa e critica del sapere in funzione del bene comune, data ormai da alcuni lustri. Il sistema sanitario esprime la stessa radicale selettività: solo chi ha soldi in quantità sufficiente può sperare di essere accolto, visitato e accudito. Ma è il rapimento del futuro alle nuove generazioni a costituire il peggiore reato di cui dovranno rendere conto gli amministratori della politica. Un crimine reso finora impunito.
Anche la violenza armata sta diventando – e non da oggi – la più visibile, assumendo il monopolio di tutta la violenza. E costituisce un'abusiva ma reale prigione per migliaia di persone. Prima di tutto per quanti continuano a perpetrare atti di morte e di terrore. Prigionieri incatenati a una logica basata sul tradimento del fattore umano che accomuna gli abitanti di questo strano pianeta chiamato Terra, casa comune per tante generazioni. E poi la prigione delle vittime, costrette a fuggire per salvarsi od occupate a seppellire i morti. Centinaia di migliaia, milioni di esseri umani costretti ad abbandonare le case, i campi e la speranza di una vita differente. Una prigione mentale e ideologica che vede nelle armi, sempre più sofisticate, e nei soldati, sempre meglio equipaggiati e preparati, la chiave della vittoria finale. La prigione del pan-militarismo del Sahel è una trappola a forma di carcere nella quale siamo da tempo caduti.
La prigione della paura è quella che, tra tutte, appare come la più subdola e pericolosa. Si è andata formando col tempo e le traversìe post e neo-coloniali. Una sorta di contagio che ha infettato gli intellettuali, i militanti più agguerriti, i partiti di opposizione, i sindacati e buona parte della società civile. Si è andata affermando l'autocensura del pensiero, della parola e infine dell'azione. Pochi i mezzi di comunicazione passati indenni da questa triste malattia, che ha espunto la verità dal proprio bagaglio di viaggio. Le complicità autoctone si sono viste confermate da strategie esteriori che sotto la minaccia economica e finanziaria hanno debellato ogni velleità di autonomia politica. Financo la religione, manipolata a uso e abuso del potere, si è lasciata imbavagliare. Per codardìa e interesse, ha venduto l'assoluto del messaggio della misericordia divina che umanizza per la stabile tranquillità di chi è al potere.
Nel carcere di Kollo un detenuto oggi era contento perché, dopo 15 anni, ha per la prima volta ricevuto la visita di un cugino.
Niamey, maggio 2019