Il titolo del nuovo libro di Paolo Isotta, Altri canti di Marte (Marsilio, pp. 464, euro 20) è il primo verso di un sonetto di Giovan Battista Marino, e va spiegato. Non significa che vengono aggiunti nuovi capitoli ai “canti di Marte” (quali canti? Quale Marte?): “Altri” non è aggettivo ma pronome, e “canti” non è sostantivo bensì la terza persona singolare del congiuntivo ottativo del verbo “cantare”. Insomma, in parafrasi spiccia: qualcun altro si prenda la briga di cantare Marte e le sue gesta; io, proseguiva il Marino nel sonetto, canto l'Amore.Anche il sottotitolo “Udire in voce mista al dolce suono”, che viene dal Purgatorio dantesco (IX, 140), invoca una spiegazione che qui non do, altrimenti tutto lo spazio della rubrica se ne andrebbe nella decifrazione del titolo e del sottotitolo. Altri dunque spieghi quel ch'io non spiego qui.Che Amore canta, ebbene, Isotta? Amore alla musica, evidentemente, essendo Isotta musicologo: ma il suo amore è così totalizzante per la più totalizzante delle arti, che il nuovo libro parla sì di musica, ma dalla musica si slancia alla letteratura, alla pittura, alla storia, al teatro, alla cronaca di costume secondo la stupefacente erudizione dell'autore che asseconda e si compiace dei propri gusti (indiscussi) e delle proprie antipatie (invitte).Di Isotta sono celebri le stroncature, e anche qui ce ne sono – ne fa le spese perfino Riccardo Muti: Isotta gli si dichiara amico e ammiratore, però non gli garba quell'arruolare moglie e figli nell'allestire opere che Muti dirige –, ma qui prevalgono gli elogi, gli applausi tant'è che un aggettivo ricorrente è “sommo”. Sommo, ça va sans dire, è Beethoven, lo è per antonomasia, infatti, è scritto con la “esse” maiuscola. Ma sommo è, per citare a caso, René Leibowitz, «allievo di Schönberg e Webern»; «sommo pianista» è Sviatoslav Richter; sommi sono Gluck, Jommelli, Sgambati, compresi nel mazzo delle ricorrenze centenarie 2014; sommi direttori sono Santini e De Fabritiis, mentre Francesco Molinari Pradelli non lo è; sommo è Canova, sommo Gadda, sommo Mengelberg (Serafin, il mentore della mia Callas, è solo «grande»); tre «sommi del Novecento» sono Franco Alfano, Ottorino Respighi, Gino Marinuzzi (quest'ultimo, più sommo di tutti); e sommo è Camillo Togni, grande amico di Alessandro Spina che me ne parlava con rimpianto e adorazione (ma il brano musicale che mi fece ascoltare mi parve un torcibudella).Si sarà capito, da questo cantuccio di Parnaso dei “sommi”, che l'interesse di Isotta, in questo libro, privilegia la musica contemporanea, e io non sono in grado di entrare nel merito. Ciononostante la scrittura di Isotta mi appassiona, perché sa unire all'assoluta competenza tecnica, aneddoti ed esperienze personali, perciò è affascinante, per esempio, leggere le pagine dedicate al «sommo violinista» George Enescu (a me ignoto), di cui Isotta esplora biografia e musicologia con trasporto davvero contagioso. Parafrasando un antico dentifricio, con quella scrittura Isotta può dire ciò che vuole.Le 464 pagine di Altri canti di Marte sono un'«appendice» alle 592 di La virtù dell'elefante, uscito l'anno scorso, e danno occasione per qualche precisazione e ripensamento. Per esempio, c'è un'ampia palinodia a favore di Alfredo Casella, che nel libro precedente era stato trattato «con sufficienza». La prossima volta mi auguro di leggere una palinodia a proposito del Partito Radicale, cui Isotta dice di essersi repentinamente iscritto: magari, conoscendo Giacinto Pannella più da vicino, l'acuto musicologo può cambiare idea.A pagina 38 Isotta definisce «ineguagliabile» una Lucia di Lammermoor incisa da Mariella Devia, ma a pagina 100 ammette che «la più grande Lucia che abbia ascoltata è Maria Callas»: tanto basta per allargarmi il cuore.