Le trentacinque opere irrigue incompiute che frenano l'agroalimentare
sono certamente più efficaci e incisive rispetto al passato. Rimane il fatto. Oltre 150 anni fa, un'opera di 83 chilometri di alveo, con 101 ponti e 210 sifoni venne costruita in 36 mesi: oggi si affoga nella burocrazia e nei costi, trascinati a fondo dall'incertezza decisionale.
I Consorzi ovviamente protestano – con ragione – e prendono proprio il canale Cavour a loro simbolo, chiedendo attenzioni e investimenti che probabilmente non potranno ottenere mai ai livelli che sarebbero necessari.
È indubbio, comunque, che proprio dalle infrastrutture – per l'agricoltura irrigue ma anche viarie e di trasformazione –, passa buona parte della spinta alla crescita del settore agroalimentare. Che comunque non sta fermo. Basta pensare all'ennesimo nuovo traguardo raggiunto dalle esportazioni di prodotti alimentari e bevande che sono cresciute (stando ad alcuni ultimi dati disponibili riferiti ad agosto), del +9,1%. Un cammino che davvero va di massimo in massimo – nel 2016 le vendite all'estero erano già arrivate a 38,4 miliardi –, e che potrebbe alla fine dell'anno far raggiungere e oltrepassare la soglia dei 40 miliardi di euro di export agroalimentare nazionale in giro per il mondo. Spopoliamo in Europa (dove le vendite sono cresciute del 9,5%), ma anche fuori dall'Unione (dove le esportazioni sono aumentate dell'8,6%).
Numeri positivi, quindi, che potrebbero crescere ancora se la competitività nazionale riuscisse ad esprimersi ancora meglio vincendo per esempio fenomeni come la concorrenza sleale fatta di contraffazioni e frodi (anche se
moltissimo si sta già facendo). Numeri però che in qualche modo contrastano con l'immobilità di altre parti dell'agroalimentare nazionale e soprattutto con quelle difficoltà ad investire di cui si diceva prima. È una situazione che fa arrabbiare, soprattutto perché abbiamo fatto vedere varie volte di essere capaci di fare e bene. Il canale Cavour in effetti è lì a dimostrarlo, dopo oltre 150 di vita.