Le topiche di Savinio sull’Utopia di Moro
hanno rilanciato il commento che Savinio dedicò nel 1945 all’Utopia di san Tommaso Moro, nella traduzione di Roberto Bartolozzi: ghiotta occasione di curiosità (pagine 212, euro 15,00). Savinio assicura che Moro certamente meritava la santificazione (grazie) ma si impiglia in giochi di parole come questo: «Il cattolico Moro si rifiuta di riconoscere al protestante Enrico VIII un titolo e un’autorità di carattere squisitamente cattolico, con che lo spirito di esso rifiuto muta la qualità dei due personaggi in parola, e fa sì che il protestante Enrico si comporta effettivamente da cattolico, mentre il cattolico Moro si comporta effettivamente da protestante». E continua, illudendosi di spiegare: «Il cattolicesimo è teocratico, il protestantesimo è tutto umano. Il cattolicesimo deriva tutto da un principio unico e supremo che è Dio, il protestantesimo esclude questo principio e in sostanza esclude Dio». Invero, il “protestante” Moro, nell’Utopia, si riferisce esplicitamente alla trascendenza; i princìpi degli Utopiensi sono i seguenti: «L’anima, nata per bontà di Dio alla felicità è immortale; dopo questa vita, alle virtù e alle buone azioni nostre è assegnato il premio, alle nostre colpe il castigo e le pene». Savinio fa anche di peggio: «Moro non ha capito che, innalzando Dio oltre l’esplicabile, non si restituisce l’uomo a sé stesso, ossia non lo si fa libero. E come avrebbe capito Moro ciò che dopo di lui non capì Voltaire, non capì Schopenhauer, non capiscono oggi gli esistenzialisti? Il problema della libertà è direttamente connesso con l’esistenza di Dio. L’uomo non sarà libero finché Dio esisterà, sia pure in forma di scienza, come in Russia». Questa è un’elefantiaca idiozia che si sottrae al commento: nel linguaggio corrente la parola appropriata per liquidarla avrebbe una doppia «zeta». Savinio ricalca il punto debole eppur centrale dell’Utopia: l’abolizione della proprietà privata che rende, appunto, utopica tutta la costruzione moreana basata sul possesso in comune degli averi, «nella quale il senso comunista non ha subìto ancora quel “restringimento” al solo fatto economico che più tardi gli farà subire Carlo Marx». Talmente assente è il concetto di proprietà privata, che gli Utopiensi si scambiano di abitazione, tirando a sorte, ogni dieci anni. Conclusione: mai valutare in blocco un autore, neppure Alberto Savinio. Bisogna distinguere le singole opere, qualcuna riuscita, altre meno, altre sbagliate. Del resto, anche al mio amatissimo Dino Buzzati non ho mai perdonato il pasticcio avvilente del Poema a fumetti. © riproduzione riservata