Era il 2000. Estate e Giovanni Paolo II è a Betania, in Giordania. Ce n'è un'altra in Israele ma pare, grazie agli studi dell'archeologo Padre Piccirillo, francescano dei Custodi di Terrasanta, che quella dove Giovanni Battista ha battezzato Gesù sia quella giordana. Giovanni Paolo II è seduto e presiede una funzione liturgica. È aggrappato al pastorale ma la sua testa è chinata fino quasi all'altezza delle ginocchia. Sembra vivo per miracolo, in quella calura che azzanna. C'è la guardia reale, variopinta di mantelli e cavalcante cammelli dalla sabbiosa livrea. C'è la fanteria che non ha nulla di marziale, marcia in file storte esibendo natiche troppo nutrite per immaginare una carica. Esclamo in milanese: «Vincen pù la guèra», cioè: «Non vincono più la guerra». Siamo in aperto deserto e non vedo più il mio pullmino. Incrocio due suorine vestite di bianchissimo; vengono da Aleppo, dove c'è il loro monastero. La città del sapone profumato che non fa schiuma e non si esaurisce mai fra le mani. Diciamo qualcosa in inglese, recitiamo una preghiera in latino, come per una condivisione e ci salutiamo con un sorridente addio. La mattina seguente, mi sveglia il lamento di un muezzin. Il mio albergo è in Amman. Mi affaccio alla finestra e sul tetto di fronte, che è all'altezza della mia stanza, un soldato mi rivolge la sua mitragliatrice. Penso alle mie suorine e ancora più in questi giorni, quando nella loro Siria ammazzano di già centomila persone: che il cielo sia clemente.