Le smemoratezze del filosofo Badiou di fronte ai fallimenti del comunismo
Ma nelle risposte di Badiou non trovo molto. Badiou dice che il tradizionale intellettuale di sinistra legato ai partiti è superato. Dice che parlare di democrazia è una truffa (non sono d'accordo). Dice che oggi c'è posto solo per una «politica senza partito» e per un «intellettuale militante» che organizzi «battaglie politiche localizzate» (mi sembra giusto). Ma Badiou parla del Maggio '68, di Mao e della rivoluzione culturale come se fossero eredità indiscutibili. Di Stalin gli basta dire che «fu un poco di buono» (questo è un eufemismo criminoso). Aggiunge che si deve essere comunisti, anche se non si sa e lui stesso non sa come definire il comunismo né come arrivarci. Insite che bisogna reinventare tutte le categorie politiche: ma evidentemente non lo fa. Si pronuncia su Toni Negri dicendo che le sue idee di «Impero» e «moltitudine» sono troppo vaghe e vaste e che il suo «monismo vitalista» sfocia in una esaltazione paradossale del capitalismo come potenza» (qui Badiou ha ragione). Ma la tradizione rivoluzionaria degli ultimi due secoli non gli sembra carica di veleni, di promesse avvelenate, di fallimenti e aberrazioni. Questo è strano. Badiou è un filosofo che dimentica la storia.