Nelle giornate terse, sferzate dal primo vento di marzo, all'orizzonte di Milano si svelano le montagne. Normalmente nascoste nella foschia, si mostrano d'improvviso vicine. Dal fondo di via Farini, a Porta Garibaldi, ti compaiono davanti, bianche ancora di neve, e ti meravigliano, perché ti pare che potresti arrivarci a piedi, in qualche ora a buon passo. È strana, l'apparizione delle Grigne all'orizzonte della città, nei giorni di cielo limpido: come di amiche che ti siano sempre accanto, ma che abitualmente non vedi. Belle, pensi, guidando verso piazza Maciachini, e bello sarebbe andarci, adesso, stamattina. Chissà il candore della neve, e che luce e che aria, su quelle cime.
Ci si potrebbe sfilare questa mascherina coatta, e respirare: tanto, a fondo, aria generosa e buona. Chissà lassù, pensi, che silenzio, e soltanto i fruscii di lepri e marmotte guardinghe che sbucano dalle tane, e lasciano nella neve fresca fila di delicate impronte. Chissà da lassù com'è, la città degli uomini, mole grigia da cui spuntano le guglie del Duomo, e più alti, prepotenti, i nuovi grattacieli. Ci sono sempre, le Grigne, e non si vedono quasi mai. Sentinelle di roccia, immobili, vegliano sulla grande pianura: su di noi che nasciamo, viviamo e ce ne andiamo. E di quelle silenziose scolte, nemmeno ci accorgiamo.