Nell'ottimo libro di Wolf Lepenies, La seduzione della cultura nella storia tedesca (il Mulino), in cui si parla molto di Goethe, di Hitler, di Nietzsche e di Thomas Mann, mi ha colpito un piccolo aneddoto su Hannah Arendt e la sua idea di filosofia, riportato in nota alle pp. 250-51: «Una sera capitò a casa nostra Hannah [Arendt] per una cena in cui il solo altro ospite era un amico tedesco, un intellettuale ebreo che si era rifugiato in Inghilterra e in quel momento si trovava in visita a New York provenendo da Londra. A un certo punto della conversazione fu menzionato John Locke, al che Hannah si voltò verso di lui dicendogli: Ah questi inglesi, pensano di avere dei filosofi! I due si misero a ridacchiare divertiti. Cos'era, in fin dei conti, un Locke al cospetto di un Heidegger? Quello che pareva sfuggire loro era l'importanza del fatto che Locke e i suoi successori avevano posto le basi per una società libera, mentre Heidegger aveva trovato non incoerente con la propria filosofia dare sostegno ai nazisti» (N. Podhoretz, Hannah Arendt's Jewish Problem - And Mine).
Naturalmente il pensiero di Heidegger non è tutta la filosofia tedesca, né si risolve nell'infatuazione iniziale che Heidegger ebbe per il nazismo. Sorprende però l'allegra indifferenza e sottovalutazione che la Arendt dimostra per la tradizione filosofica anglosassone. Questa sottovalutazione ha purtroppo contagiato a lungo anche i filosofi italiani e francesi, in maggioranza sedotti da Heidegger e dall'oscurità del suo linguaggio. Mettendo da parte ogni altra questione, la cosa più inaccettabile è che si consideri "vera filosofia" solo la metafisica e l'ontologia, mentre l'etica, la gnoseologia, la politica, la linguistica, l'estetica sarebbero rami secondari e inferiori del pensiero filosofico. Arrivo a pensare invece che anche ogni scienza e arte abbia un contenuto filosofico, e che la stessa critica letteraria non sia altro che un modo di filosofare interpretando opere.