«I vostri prodotti uccidono. Avete le mani sporche di sangue». Quando, mercoledì, i senatori americani hanno accusato gli amministratori delegati delle più importanti piattaforme social (Meta, X, Snap, TikTok e Discord) di avere danneggiato gli utenti più giovani, i signori del digitale convocati sono apparsi un po’ meno sicuri del solito. Difficile dire se sia avvenuto spontaneamente o se glielo avessero suggerito gli avvocati, ma quando i senatori hanno chiesto a Zuckerberg di guardare in faccia i genitori di alcune vittime, che agitavano le foto dei loro bambini morti o danneggiati dalle piattaforme social, e di scusarsi con loro, il boss di Facebook, Instagram e WhatsApp l’ha fatto. «Mi dispiace per tutto quello che avete dovuto passare. Nessuno dovrebbe attraversare quello che voi avete attraversato. È per questo che abbiamo investito così tanto e continuiamo a farlo per assicurare che altri non debbano passare quello che avete passato voi». Una scena che di fatto si è ripetuta quasi identica con l’amministratore delegato di Snap, che si è scusato con le famiglie i cui figli sono morti dopo aver acquistato farmaci su Snapchat. Mentre il capo di TikTok ha ricordato che per proteggere i minori negli USA, l’azienda impiega 40.000 addetti e investe miliardi di dollari. Insomma, ognuno ha fatto la sua parte per uscirne col massimo del risultato o almeno con i danni minori. E a noi ora resta una domanda: quanto sono credibili le scuse dei signori del digitale in queste occasioni? Quanto sono dettate dalla coscienza e quanto dal portafoglio? Perché è palese (e da tempo) che i giganti social abbiano come primo obiettivo quello di fare soldi (il che è assolutamente legittimo e alla base del capitalismo americano). Ma è altrettanto evidente che il loro impegno per tutelare i minori non solo sia insufficiente ma sembra arrivare sempre dopo qualsiasi interesse economico. C’è di più: a vent’anni dalla nascita di Facebook (che cadranno il 4 febbraio), l’impero digitale di Meta ha bisogno di raccontarci che Mark Zuckerberg non è più il ragazzo che creò TheFacebook con l’aiuto di Andrew McCollum ed Eduardo Saverin (poi fatti fuori). E nemmeno quello accusato da tre studenti di Harvard di avere rubato loro l’idea. Ecco così pronto un documentario Sky intitolato «Zuckerberg – Il re del Metaverso» e soprattutto ecco pronta la narrazione di un uomo ormai adulto e padre di famiglia, che pensa al futuro e si è impegnato a destinare il 99% delle azioni di Facebook a una missione filantropica, la Chan Zuckerberg Initiative (CZI). L’obiettivo è di farla diventare la più grande iniziativa filantropica del mondo e di «aiutare la scienza a curare, gestire e prevenire tutte le malattie entro la fine del secolo» grazie a un enorme centro di calcolo per l’intelligenza artificiale. Intanto, l’ex ragazzino Mark ha cambiato vita, puntando tutto sul benessere psicofisico. Fa esercizio fisico ogni giorno, mangia sano, medita e pratica le arti marziali anche come disciplina mentale e «si dedica al combattimento, ma in modo rispettoso e ponderato». In un’intervista a Forbes ha fatto capire che i suoi peccati social potrebbero essere cancellati se con la fondazione benefica riuscisse a raggiungere «anche solo un terzo degli obiettivi che abbiamo fissato». Come a dire: ok, ho approfittato di voi e dei vostri figli, ma ora salverò un pezzo di umanità. Se solo Wired non avesse appena scoperto che Zuckerberg si sta facendo costruire alle Hawaii due ville e un mega bunker da 250 milioni di dollari per sopravvivere a qualsiasi catastrofe, forse ci avremmo creduto un po’ di più. © riproduzione riservata