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Le schiavitù quotidiane e la sfida di accettare il “rischio della libertà”

Salvatore Mazza sabato 1 dicembre 2018
Non è facile andare controcorrente. Incalzati come siamo dalle mode, bombardati da messaggi di ogni tipo, da improbabili influencer non si sa come o perché assurti a tale ruolo, preoccupati di ogni tendenza e di corrispondere a modelli politicamente corretti, rischiamo – soprattutto i più giovani, ma non certo solo loro, anzi... – di vivere una vita che non è più la nostra. Una vita appiattita e omologata, che si aggiunge a migliaia, milioni di altre ugualmente appiattite e omologate, rendendoci parte di una massa indistinta. Succubi, insomma, di tutte «le varie schiavitù» che ci sono nel mondo oggi, rispetto alle quali, al contrario, l'unica «vera risposta» può venire solo da quanti «nella loro quotidianità, vivono stili di vita sobri, solidali, aperti, accoglienti».
Da queste parole tratte dal videomessaggio che Papa Francesco, una settimana fa, ha inviato al Festival della Dottrina sociale della Chiesa di Verona, si comprende immediatamente quali siano, per lui, queste schiavitù. E non è una novità. Parliamo dell'indigenza che scarta le persone come «rifiuti, avanzi», dell'assolutizzazione della tecnica che «può ritorcersi contro l'uomo», e della «riduzione dell'uomo a consumatore». Ed è per questo che il mondo «ha bisogno di persone libere». Il punto, però, è proprio questo: quale libertà? E per che cosa? Infatti, dice Francesco, oggi «non poche volte il desiderio di libertà ha assunto forme deviate, generando guerre, ingiustizie, violazioni dei diritti umani». Per questo dunque «come cristiani, fedeli al Vangelo e consapevoli della responsabilità che abbiamo verso tutti i nostri fratelli, siamo chiamati a essere attenti e vigilanti perché “il rischio della libertà” non perda il suo significato più alto e impegnativo. Rischiare, infatti, significa mettersi in gioco. Ed è questa la nostra prima chiamata. Tutti insieme dobbiamo impegnarci per eliminare ciò che priva gli uomini e le donne del tesoro della libertà. E, nello stesso tempo, ritrovare il sapore di quella libertà che sa custodire la casa comune che Dio ci ha dato».
Non c'entra dunque niente l'anticonformismo, in tutto questo. C'entra solamente la fedeltà allo “scandalo” del Vangelo. Come ha detto Benedetto XVI, «il limite tra il prima di Cristo e il dopo Cristo non è un confine tracciato dalla storia o sulla carta geografica, ma è un segno interiore che attraversa il nostro cuore. Finché viviamo nell'egoismo, siamo ancora oggi coloro che vivono prima di Cristo». È questo che segna il punto di non ritorno, che può spingere le persone a scegliere «nella loro quotidianità» quegli «stili di vita sobri, solidali, aperti, accoglienti». Sono così tali persone a rappresentare «la vera risposta alle varie schiavitù, perché si muovono come persone libere. Accendono desideri sopiti, aprono orizzonti, fanno desiderare il bene. La libertà vissuta non si limita mai a gestire ciò che succede perché contiene in sé sempre qualcosa che porta oltre. La libertà non uccide mai i sogni, ma costruisce nella vita ciò che molti desiderano ma non hanno il coraggio di perseguire. Certamente essere liberi è una sfida... Il mondo ha bisogno di persone libere». Per questo la libertà dell'uomo scopre se stessa fino in fondo solo «quando comprende di essere generata e sostenuta dalla libertà amorosa del Padre, che si rivela nel Figlio nel volto della Misericordia». E sotto il suo sguardo compassionevole «ogni uomo può sempre riprendere il cammino del “rischio della libertà”». Per essere tra coloro «che vivono dopo Cristo».