A
rs-sur-Formans, marzo 2009. Il paese del Curato è ancora un grappolo di case, perso tra le colline del Dombe. È un martedì, piove, e non c'è nessuno nella canonica di Jean-Marie Vianney. Mi affaccio: stanze spoglie, muri di pietra, un focolare annerito. La casa del santo è abitata solo dal vento: che stamattina soffia così forte, con una voce scura. Scuri anche i vecchi mobili; e il crocefisso nella stanza da letto, di questa antica povertà il silenzioso signore. Fatico, tra queste cose morte, a immaginarmi quel prete, vivo.Ma l'occhio mi cade su degli oggetti amorosamente conservati. C'è un ombrello nero, col manico grosso: quello sì, me lo vedo, in una mattina di marzo come questa, lucido di poggia, oscillante sui passi del parroco. E, accanto, le scarpe: un paio di grosse scarpe indicibilmente sformate. Anche le scarpe le immagino, per sterrate fangose, o nella polvere della siccità d'agosto, all'alba, in marcia verso il capezzale di un moribondo. Quanta strada devono avere fatto, queste scarpe. Ma, mi pare di averle già viste. (I ricordi, come i sogni, sono anarchici: vengono su senza ordine alcuno). Don Benzi, ecco, a don Oreste ho visto addosso delle scarpe così, nere, grosse, sfatte dall'andare. (Sono cari a Dio, penso, gli uomini che camminano per abbracciare).