Le religioni non diano argomenti ai loro nemici
Più che un auspicio questo, lanciato da Papa Francesco sette giorni fa nel chiudere a San Paolo fuori le mura la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, è stato un perentorio appello, perché tutti i credenti, e per primi i cristiani, si facciano carico di quello che deve essere il vero ruolo delle religioni nel mondo: unire, e non dividere, avvicinare gli uomini gli uni agli altri, essere fonte di distensione e di pace. «I nostri vecchi – ha detto Francesco – ci hanno insegnato con l'esempio che alla tavola di una casa cristiana c'è sempre un piatto di minestra per l'amico di passaggio o il bisognoso che bussa. E nei monasteri l'ospite è trattato con grande riguardo». A questo proposito, Bergoglio ha citato l'episodio del naufragio della nave di san Paolo a Malta, sottolineando come in quel drammatico frangente «ciascuno contribuisce alla salvezza di tutti: il centurione prende decisioni importanti, i marinai mettono a frutto le loro conoscenze e abilità, l'Apostolo incoraggia chi è senza speranza... Anche tra i cristiani ciascuna comunità ha un dono da offrire agli altri. Più guardiamo al di là degli interessi di parte e superiamo i retaggi del passato nel desiderio di avanzare verso l'approdo comune, più ci verrà spontaneo riconoscere, accogliere e condividere questi doni».
Per questo allora non bisogna «dedicarci esclusivamente alle nostre comunità, ma ad aprirci al bene di tutti, allo sguardo universale di Dio, che si è incarnato per abbracciare l'intero genere umano, ed è morto e risorto per la salvezza di tutti. Se, con la sua grazia, assimiliamo la sua visione, possiamo superare le nostre divisioni». Perché, ed è proprio questo il punto, Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati». E tutti significa proprio ciascuno di noi, non conta se grande o piccolo, forte o debole, illustre o sconosciuto. Anzi, più piccole, più marginale appaiono le persone, più importante, unica e originale è la ricchezza che possono mettere in comune con gli altri.
Non è dunque la povertà materiale, di risorse e di beni, che ci deve allontanare, dividere, spaventare ma, proprio al contrario, la «povertà spirituale dei nostri giorni – secondo quanto disse lo stesso Francesco al Corpo diplomatico nel 2013 –, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la "dittatura del relativismo", che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini». È, a ben veder, l'idea portante su cui Giovanni Paolo II si inventò, per così dire, gli incontri di Assisi. Perché non si possa più dire che la religione è il miglior strumento mai inventato per giustificare l'odio. E testimoniare, invece, l'esatto contrario con la nostra vita.