Le "isole" del Nuovo Umanesimo
Un brillante economista come Enrico Moretti ("La nuova geografia del lavoro", Feltrinelli, 2014) ha stimato che ogni posto di lavoro ad alto valore aggiunto nato in una di queste "isole" produce in media altri cinque posti di lavoro in settori tradizionali, localizzati nella zona immediatamente circostante. È la fotografia di un mondo che – cinque secoli dopo – sembra prefigurare una sorta di "nuovo Umanesimo" fatto di isole di sviluppo e di innovazione in serrata competizione tra di loro che oggi, proprio come ieri accadeva per le città-Stato, crescono attorno a reti di persone con elevate competenze ed alto potere d'acquisto.
È una prospettiva affascinante, ma non priva di rischi. Il lato oscuro del fenomeno è la polarizzazione estrema del mercato del lavoro tra professioni di alto valore – che beneficiano sempre più dell'ipercompetizione globale, dell'integrazione internazionale e dell'adozione di nuove tecnologie – e vecchi lavoratori e giovani interpreti di "vecchi lavori", che a causa della concorrenza delle macchine e dell'intelligenza artificiale rischiano di perdere sia il posto di lavoro che ogni possibilità di reimpiego. Ciò genera disuguaglianze economiche e lacerazioni sociali, politiche e persino culturali, che cresceranno esponenzialmente nei prossimi anni.
Nella storia dell'umanità, il merito ha sempre disegnato un confine netto tra vincitori e sconfitti. Ma non è in alcun modo desiderabile un mondo in cui i secondi non hanno più alcuna possibilità di passare nell'altra categoria.
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