Le grandi aziende, ultima scuola del ceto dirigente
Eppure non tutti i gatti sono neri, perfino nella notte più buia. Nelle (non molte) grandi e medie aziende "globali" con proprietà e quartier generale italiani, diversi nostri giovani talenti hanno spesso la possibilità di apprendere e praticare i valori tipici di un ceto dirigente contemporaneo: il merito e la responsabilità, la competizione e la cooperazione. E al tempo stesso sono "costretti" ad ampliare i propri orizzonti confrontandosi con le asprezze e la complessità del mercato globale, magari maturando esperienze di lavoro all'estero che daranno una solidità esclusiva al loro curriculum. Si tratta complessivamente di valori e possibilità poco diffuse, ahinoi, negli altri luoghi lavorativi e più in generale nel tessuto sociale italiano.
Questo ruolo particolarissimo e prezioso svolto oggi, più o meno consapevolmente, dalle grandi aziende italiane non viene normalmente riconosciuto loro per due ragioni fondamentali. La prima è la persistenza di una cultura anti-industriale e di una ancor più diffusa diffidenza verso il ruolo del privato, che ancora dominano sia il sentimento generale del Paese che le disquisizioni degli opinion leader. La seconda è una certa nostalgia dell'età dell'oro delle grandi imprese, quelle a controllo pubblico e a dominio partititico, che ancora riemerge ciclicamente.
Sono limiti culturali che ho avuto modo di registrare, ancora una volta, in un dibattito al quale sono intervenuto qualche giorno fa al Meeting di Rimini e che dobbiamo superare quanto prima. Nell'interesse dei nostri ragazzi, che devono avere ben chiaro dove poter mettere alla prova i propri talenti.
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