Le foglie della morte
Già una volta abbiamo portato in questo nostro spazio quotidiano un poeta romeno della Repubblica Moldova, Grigore Vieru (1935-2009). Lo riascoltiamo a chiusura di un mese che la tradizione assegna alla memoria dei defunti e la sua è una sfida alla morte, simbolo supremo di infelicità. Essa, infatti, non conosce la bellezza e le meraviglie dell'amore: non ha madre né figli e, quindi, senza imbarazzo, elimina madri e figli, ma ignora cosa significhi poter amare una madre o un figlio. In un'altra poesia, però, Vieru mostra un aspetto positivo dell'esperienza umana del morire.
Ecco le sue parole: «Non esiste la morte! Solamente cadono le foglie per vederci meglio quando siamo ancora lontani» da quella meta estrema che ci attende. È un po' quello che, con immagini desunte dal mondo greco, faceva balenare san Paolo: «Quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, simile a una tenda, riceveremo da Dio un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli» (2 Corinzi 5,1). Morire è uno spogliarsi di veli, di pesi, di fogliami che celano l'altra faccia della vita che sta al di là di quella che noi vediamo con questi segni transitori e caduchi. C'è, dunque, un'epifania che ci attende quando saremo su quella soglia estrema. Cantava un'altra poetessa, Margherita Guidacci: «Quanto di te sopravvive / è in altro luogo, misterioso, / ed ormai reca un nome nuovo / che solo Dio conosce» e che solo in quell'istante ci sarà svelato.