è noto che i maggiori teologi, liturgisti ed ecclesiologi sono quei "laici" che si proclamano atei e razionalisti, non bazzicano mai in parrocchia e sostengono che la fede e la religione costituiscono un fatto esclusivamente privato e di nessuna rilevanza pubblica, ma poi, appena avviene qualcosa che riguarda la Chiesa, aprono sui giornali le cateratte della loro scienza e giudicano e mandano secondo che avvinghiano. è accaduto puntualmente con il "motu proprio" di Benedetto XVI sulla Messa di San Pio V, con il documento della Santa Sede sulla sussistenza nella Chiesa cattolica dell'unica Chiesa istituita da Gesù Cristo e, infine, con il parere di Corrado Augias, noto esperto in cristologia (La Repubblica, martedì 10). Costui accusa la Chiesa di essere «di destra», perché ha beatificato molte delle vittime «dei "rossi"» durante la guerra civile spagnola e non le «26mila vittime della repressione franchista». Gli sfugge il particolare che quelle vittime dei «rossi» furono uccise in odio alla fede mentre quelle dei franchisti lo furono perché militanti nella parte politica avversa, giusta o sbagliata che questa fosse. Ma ecco con quali finezze razionali i "giornalaici", in ritardo di quasi mezzo secolo, hanno presentato il richiamo alla dottrina sulla Chiesa definita dal Concilio: «Ratzinger insiste: la chiesa sono io» (il Manifesto), «Il piccone di Ratzinger: l'unica chiesa è la mia» (Liberazione), «C'era una volta il Vaticano II» e «Dal Papa un altro colpo al dialogo» (l'Unità, martedì 10), «Ferita a morte la credibilità dell'ecumenismo» (Corriere della sera, mercoledì 11), come se l'ecumenismo consistesse nell'annacquare la propria identità. Per ragioni di spazio cito soltanto Liberazione (martedì 10) sul rito preconciliare della Messa: «La lingua del potere ignota al popolo». Ci fosse mai stato uno di questi ecumenologi che abbia parlato di dialogo ferito quando, per esempio, gli anglicani hanno deciso di ordinare le presbitere e le vescove o di scegliere come vescovo un omosessuale praticante confesso.
DARIO BROWN
Quando leggo Dario Fo mi domando che cosa significhi "Premio Nobel". La sua ultima uscita è, riportato da La Stampa e da La Repubblica (sabato 7), un intervento alla "Milanesiana" su «Cristo e le donne», furbesca anticipazione di un suo libro appena edito. In quella conferenza Fo si è detto certo che «nel Cenacolo la figura di Giovanni è in realtà la Maddalena» e poi, prendendolo per Vangelo, ha citato non so quale apocrifo: «Rileggendo l'intero Cantico dei Cantici, ci siamo convinti che Gesù conoscesse questo poema. Basta confrontarlo con i dialoghi che intesse con le donne di cui si dichiara preso d'amore. Lo ricordiamo volentieri. Salomè chiede: "Chi sei tu che ti siedi alla mia tavola e ti sdrai nel mio letto?". "Sono uno che con te si sente un corpo solo". E Salomè riprende: "Io sono solo una tua discepola?". E Gesù: "Io ti dico che quando si incontra qualcuno e con quello ci si unisce, il tuo corpo si scioglie nella luce e quando ci si abbandona in quello, tutto il tuo spirito s'affoga nel buio"». Un Nobel che parla come scrive Dan Brown.
BUONE VACANZE
Buone vacanze a tutti i miei ventitré lettori e, se permettete, anche a me. Ci ritroveremo subito dopo la festa dell'Assunzione.