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Le ferite aperte della Diaz e la verità che manca

Francesco Delzio sabato 4 marzo 2017
A volte un piccolo episodio di cronaca può riaprire una grande ferita. È quello che è successo ieri con il ritorno del giornalista inglese Mark Covell – insieme ad un gruppo di studenti – nei tragici luoghi della scuola Diaz di Genova, dove il 21 luglio 2001 fu pestato dalla polizia con tale violenza da temere che la sua vita finisse lì.
Aggredito per ben tre volte dai tutori della legge, Covell subì la frattura della mano sinistra e di otto costole, che perforarono un polmone, perse 16 denti e infine finì in coma, rimanendovi per 14 ore. La sua testimonianza è una delle tante "ferite aperte" di quel maledetto G8, in cui l'Italia diventò la notizia principale dei telegiornali di tutto il mondo con immagini di guerra civile e di brutale repressione che di rado si erano viste (fino a quel momento) nell'Occidente avanzato.
Quasi 16 anni dopo, il G8 di Genova e in particolare la notte della Diaz rimangono pagine nere (e in parte misteriose) della storia italiana e internazionale. I "numeri" della giustizia raccontano, di per sé, la straordinarietà dei fatti: 7 processi, quasi 100 imputati condannati tra cui i vertici della polizia nazionale e locale, oltre 300 udienze, 170 anni di reclusione comminati. Grazie a questo sforzo imponente, esiste oggi una verità giudiziaria su quei giorni. Le inchieste hanno ricostruito la morte di Carlo Giuliani, i crimini commessi durante i due giorni di scontri fra polizia e manifestanti, le violenze e le umiliazioni subite dai fermati nel centro di detenzione allestito a Bolzaneto, il brutale pestaggio subito dalle 93 persone – come Covell – che quella notte dormivano nei locali della Diaz.
La verità politica, invece, è ancora lontana. Perché il carico di condanne per poliziotti, funzionari e alti dirigenti delle forze dell'ordine ha lasciato aperte altrettante domande sulle responsabilità politiche di quei giorni, che non sono materia per i tribunali ma la cui conoscenza è fondamentale per i cittadini. Non solo per i parenti delle "vittime" di una violenza così cieca e gratuita, ma per chiunque voglia evitare in futuro che uomini dello Stato possano confondere così clamorosamente bene e male, Stato di diritto e Stato di polizia.
Sullo sfondo resta, inoltre, il vuoto normativo sulla tortura. Anch'esso responsabilità di una classe politica che non ha ancora voluto – nonostante vicende come quelle della Diaz e di Bolzaneto – inserire questo odioso reato nel nostro codice penale. Ma bisogna farlo. Perché simili vicende non si ripetano mai più.
@FFDelzio