Il titolo, Fake news - Reportage e inganni, è indubbiamente più intrigante di quanto poi non si riveli il docufilm che ne consegue (in onda venerdì in prima serata su Sky Documentaries). Non è in discussione il contenuto, quanto l’andamento lento, la durata (oltre un’ora e mezzo) e il doppiaggio, che come spesso accade è inutilmente recitato. Detto questo, resta interessante la storia raccontata, che poi è quella venuta alla luce a fine 2018 del giornalista tedesco Claas Relotius, che si è inventato gran parte dei suoi reportage per “Der Spiegel”, il più grande e autorevole settimanale tedesco. Ma non solo: con i suoi articoli Relotius ha vinto premi importanti con motivazioni entusiaste della giuria: «Una storia fantastica, con un’eccezionale struttura drammatica e una grande maestria linguistica. Una narrazione perfetta». In realtà Relotius ha prodotto falsi scoop su temi caldi come la Siria e il confine tra Stati Uniti e Messico, falsificando testimonianze, creando dal nulla fonti che non esistevano e protagonisti che con la realtà non avevano nulla a che spartire. Fino a che un collega, Juan Moreno, non inizia a dubitare delle fonti e delle testimonianze che solo Relotius riesce misteriosamente a ottenere e lo smaschera. Lo scandalo sconvolge inevitabilmente “Der Spiegel”, ma investe l’intero settore della stampa e dell’informazione tedesca. Relotius, che in questo caso non ha accettato di essere intervistato e con lui molti altri stando all’elenco che appare con i titoli di coda, si era a suo tempo giustificato dicendo di soffrire di una malattia mentale per cui realtà e finzione non possono essere differenziate e lo scrivere avrebbe dovuto essere la sua terapia. Fatto sta che la vicenda ha inferto un duro colpo alla già scarsa credibilità del giornalismo, che in forme meno smaccate di quelle di Relotius, non sempre disdegna le fake news.
© riproduzione riservata