Immedesimiamoci nell’uomo greco che si reca al teatro ad assistere a una tragedia. Devo dire uomo, purtroppo, perché in Grecia, anche nell’età classica, la donna aveva un ruolo subalterno: gli schiavi ricevevano un sasso valido come biglietto per assistere agli spettacoli, ma le donne no. Sottolineato questo limite della civiltà che è alle nostre origini di occidentali, resta il fatto della natura e del ruolo della tragedia: nel periodo classico le rappresentazioni avevano luogo in due precisi periodi dell’anno, all’interno di feste cittadine rituali di natura religiosa. Le Dionise cittadine si svolgevano ogni anno a marzo, le Lenee in gennaio. Queste ultime avevano un pubblico prevalentemente ateniese, causa la difficoltà di navigazione nei mesi invernali, le Dionise vedevano accorrere spettatori da paesi vicini e lontani. Recarsi al teatro non era come andare al circo. Era un’esperienza religiosa: immagini, il lettore, di accedere al teatro all’alba, sedersi sugli scranni di pietra e restarvi fino al tramonto, sotto il sole cocente di Atene, o di Siracusa: ore e ore di sofferenza fisica, E certo non vendevano bibite o birre fresche. E molti, i non ateniesi, erano giunti ad Atene dopo ore e ore di navigazione: non erano turisti, ma piuttosto pellegrini
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