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Le crisi di panico di Manzoni, portavoce di umane fragilità contro la sopraffazione

Alfonso Berardinelli sabato 14 settembre 2013
Può sorprendere che uno studioso di estetica come Paolo D'Angelo abbia deciso di scrivere un saggio di duecento pagine intitolato Le nevrosi di Manzoni (Il Mulino). La sorpresa si converte presto, però, in curiosità e interesse. È noto che Manzoni soffrì per quasi tutta la sua lunga vita (1785-1873) di agorafobia e attacchi di panico: «mali di nervi», «angosce», «timore di mancamenti», dice lui stesso. È noto anche (e su questo insiste D'Angelo) che la sua attività creativa si interrompe con la composizione dei Promessi Sposi, cioè a partire dal 1827. Da allora in poi, Manzoni non osa più inventare, creare. Deluderà il vasto pubblico che si era conquistato e che si aspettava da lui altri appassionanti romanzi. Ma creare e inventare cominciarono presto a sembrare a Manzoni peccati, colpe contro la verità storica. Del resto la sua poetica di narratore si fondava sulla più scrupolosaricerca della verità, dato che la funzione della letteratura doveva essere sostegno,conforto e persuasione morale. Le sue nevrosi gli avevano insegnato questo: che l'essere umano non può sostenersi da solo, deve poter contare su una vicinanza umana e sul soccorso di una fede.La ricerca di D'Angelo ruota intorno all'analogia fra i problemi letterari di Manzoni, le sue psicopatologie e la sua conversione cristiana. Per affrontare il rischio degli spazi aperti, sia nella vita di tutti i giorni che nell' avventura romanzesca, lo scrittore cercava un terreno solido e un sostegno sicuro. Aveva bisogno di fede nella Provvidenza divina e di verità storica su cui costruire la narrazione, proprio come aveva bisogno di una persona che lo accompagnasse fuori di casa nelle sue passeggiate terapeutiche. Per questo, Manzoni è il consapevole difensore o portavoce della fragilità umana contro la violenza e l'ingiustizia del potere.Solo negli ultimi vent'anni della sua vita, il conflitto fra letteratura e verità si attenua. La filosofia di Rosmini gli suggerì che anche le idee possono essere verità, non solo i fatti.