Non tutti sanno, o ricordano, che Hegel aveva un figlio illegittimo, sì proprio lui, il grande filosofo G.W.F. Hegel, il Grand'uomo, come lo chiama Francesco Baucia nel romanzo La notte negli occhi (Lindau, pagine 176, euro 14). Con scrittura densa e avvolgente, Baucia investe quel dato anagrafico con romanzesca fantasia e dischiude al lettore atmosfere avventurose abilissimo com'è, Baucia, a ricreare in proprio il fascino dei suoi grandi ispiratori: Conrad, Stevenson, Melville, Karen Blixen, Edgar Allan Poe. La storia è narrata in prima persona da un medico esperto viaggiatore al servizio di militari e balenieri, che si reca a Giava per rintracciare il figlio scapestrato del Grand'uomo. Ha fatto da tramite un diplomatico olandese, amico di Hegel, che si sente investito della missione di togliere al filosofo ogni preoccupazione che potrebbe distrarlo dai suoi studi. E la preoccupazione più grave di Hegel è proprio Ludwig, quel figlio mai amato verso il quale ora si sente in colpa. Dapprima il filosofo l'aveva accolto nella famiglia legittima, ma la moglie aveva affetto solo per i propri figli, e Ludwig era un ingombro. Il ragazzo fu allora inviato nell'istituto della signora Wesselhöft, che ospitava figli di aristocratici e benestanti con problemi, ai quali dare educazione. Ludwig, insofferente, architettò la fuga col condiscepolo Wilhelm Windt. Fuga brevissima, perché quella stessa notte, nel bosco, Ludwig fu morsicato da una vipera e fu Wilhelm a riportarlo a braccia nell'istituto. Qualche anno dopo, il ragazzo espresse il desiderio di diventare medico. Hegel lo mandò invece a Stoccarda come commesso presso un negoziante amico. Lì riapparve Wilhelm, che era stato adottato da una famiglia facoltosa e lo convinse a fuggire con lui, non prima di aver rubato il denaro del negoziante, lasciato quasi morto sul pavimento. Wilhelm e Ludwig persero al gioco enormi somme e i creditori allertarono le rispettive famiglie, con grande scandalo del Grand'uomo che disconobbe il figlio: da allora in poi avrebbe dovuto chiamarsi Ludwig Fischer cognome della madre, la governante dalla quale Hegel l'aveva avuto. A Ludwig non restò che accettare di arruolarsi nell'esercito olandese, in missione a Giava. Ed è appunto a Batavia che il medico narrante, su incarico di Hegel, lo trovò morente nella branda di un'infima locanda, devastato dalla febbre malarica. Chi era Wilhelm? Certo esisteva, perché da ragazzo aveva salvato Ludwig. Ma poi, con quel suo apparire e sparire all'improvviso, non era forse un doppio fantasmatico di Ludwig, come accade ai giavanesi posseduti dall'amok, lo spirito della tigre bianca che li costringe a subitanee nefandezze? Nella famiglia Hegel c'erano degli indizi: la sorella del filosofo, Christiane, l'unica che con la sorellastra di Ludwig, Therese, aveva dato un po' di affetto al giovane, stava sprofondando in un'austera demenza, intaccata dalla follia che forse anche Ludwig aveva ereditato. Sono questi alcuni interrogativi ai quali il partecipe lettore è chiamato a dare risposta.