Elezioni europee? No, provo a parlare d'altro. «Non si fa buona letteratura con i buoni sentimenti»: questo è stato il motto mille volte ripetuto e mille altre implicito che ha ispirato l'estetica dominante nell'ultimo secolo. Essere cattivi è bello, è più bello che essere buoni. Secondo l'estetica (che è anche un'etica) di ogni avanguardia artistica o politica, la cattiveria è vera, è sincera, è reale, è coraggiosa, è forte e vincente. La bontà invece è falsa, irreale, ipocrita, fiacca: non si sa che cos'è e da dove viene, è incomprensibile. Ricordo che decenni fa un intelligente e colto psicanalista, uno dei migliori, mi chiese, chiacchierando, di dirgli qualcosa di mia moglie. Cominciai spiegando che era buona, era molto buona e che la bontà, insieme a una viva immaginazione, era la sua prima qualità e caratteristica. Mi guardò in silenzio senza dire una parola. Evidentemente non capiva. O forse pensava che ero un ingenuo idealista che crede nelle favole e non sa vedere la realtà vera. Da allora mi sono chiesto se non sia avvenuto proprio questo nella cultura occidentale impregnata di psicanalisi: secondo una tale scienza delle emozioni, dei sentimenti e degli istinti umani, la bontà non è prevista, non si spiega. La cattiveria, nelle più varie forme, è invece all'ordine del giorno. È un'evidenza immediata. Tutti saremmo cattivi, più cattivi, anzi cattivissimi, e piuttosto delinquenziali, se non agissero in noi i freni inibitori della civilizzazione. L'uomo civile è represso, nasconde, non dice sempre quello che pensa, non ubbidisce all'istinto, non segue e non soddisfa i suoi più elementari e veri desideri. E in quanto represso, l'uomo civile piace poco, non piace, non convince, ha poco fascino, gli manca il magnetismo animale. Sembrerà ingiusto dire che Friedrich Nietzsche è il filosofo più responsabile di questo modo di vedere le cose. Sembrerà ingiusto, ma è così. Secondo lui l'Occidente si era intossicato e ammalato di scarsa vitalità perché aveva seguito, o fatto finta di seguire, il dialogismo raziocinante di Socrate e la sublime nonviolenza del cristianesimo. Bisognava perciò, per guarire, tornare ai sani istinti vitali, dire sì alla vita immediata, alla sacra fame di vita e alla “volontà di potenza” così come la natura ce l'insegna: la civiltà è debolezza. Da tempo, la moda di Nietzsche e della “sana” aggressività ha invaso la mentalità diffusa anche attraverso l'estetica e le arti. Ci rimasi male quando anni fa un conoscente, che era stato un convinto marxista, per farmi un complimento mi disse sorridendo che ero cattivo. Non gliela perdonai e tempo dopo, per fargli capire che la cattiveria è una cosa cattiva, fui cattivo recensendo un suo libro in cui si ammiravano il successo e la forza. Allora si offese. Di questi tempi in Italia tutti parlano di Machiavelli. C'è un ritorno a Machiavelli? Per Machiavelli il politico deve essere volpe e leone, forte da far paura ma anche furbo. Se la vera politica è questo, meglio essere impolitici. Fuori della politica si vede più realtà. Anche se poi il problema è che non si sa cosa fare politicamente.