Latte in via di ristrutturazione
La fotografia del comparto del latte in Italia è stata scattata dal Rapporto latte 2007 promosso dalla Associazione italiana allevatori (Aia) e dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (Ismea). I contorni e i tratti di fondo dell'immagine che ne deriva sono certamente quelli di un comparto in crescita dopo anni di crisi. Certo, la parte «agricola» della filiera prosegue ancora quella che è stata chiamata «fase di ristrutturazione» e che ha significato una forte concentrazione produttiva e quindi la chiusura di numerosi allevamenti. Oggi le stalle sono circa 46mila, vent'anni fa erano 182mila. Allo stesso tempo, è aumentata la produzione media annua per allevamento: in circa 20 anni si è passati da 60 a 240 tonnellate. È opinione comune dei tecnici che in questo modo, oltre che dietro la spinta del mercato, la produzione e trasformazione del latte in Italia abbia acquisito una notevole vitalità.
Ma se si passa dai tratti generali dell'immagine a quelli più particolari, si nota immediatamente l'ulteriore riduzione della quota di mercato detenuta dagli allevatori e cioè dai produttori di materia prima. Una situazione che insieme alla crescita dei prezzi di cereali e soia, stando all'analisi dell'Aia, ha determinato una compressione dei redditi agricoli. Ciò che deve far pensare, tuttavia, è la diminuzione della presenza zootecnica nel complesso della filiera: secondo le ultime analisi, questa è passata dal 20,3 al 19,7%. Nell'ultimo anno, poi, nel passaggio dalla stalla al consumo, il valore della materia prima, pari a 5 miliardi, è lievitato di oltre il 400% e cioè fino ai 25,8 miliardi. Su un euro pagato dal consumatore italiano, all'allevatore arrivano meno di 20 centesimi.
È il destino delle moderne filiere alimentari? Siamo di fronte proprio ad una delle conseguenze
della ristrutturazione avvenuta in questi anni? Probabilmente sia l'una che l'altra cosa. Rimane tuttavia l'indicazione di fondo: il ruolo della produzione primaria viene diluito, appannato, sfocato dalla complessità del mercato, dalla lunghezza delle catetere di trasformazione e distribuzione, dallo scarso potere di contrattazione che ancora oggi i produttori hanno nei confronti dell'industria e della distribuzione. In un momento di forti tensioni sui prezzi e di altrettanto forti attriti all'interno delle catene di produzione, l'esempio del latte può chiarire bene i termini della questione.