Me li guardo, questi immigrati, e penso che il mondo è una giostra: come non riconoscere in molti di loro gli stessi caratteri che Isaac Singer nei suoi racconti rese immortali? Il grande scrittore polacco, dopo essere sfuggito alle persecuzioni antisemite, ci fa sentire tutto lo scarto fra una tradizione millenaria e la modernità lancinante degli Stati Uniti: non così distante da quello che oggi dentro di sé percepisce Mohamed se pensa al suo villaggio africano e lo paragona ai centri commerciali delle nostre città. Isaac si sente, per usare le sue stesse parole, «perduto in America», ma questo, invece di deprimerlo, lo esalta, gli mette allegria e gli consente di assumere una dimensione narrativa bifocale, in quanto osserva i nuovi costumi d'Oltre Atlantico senza rinunciare alla sua antica formazione rabbinica.
Nel Cabbalista della East Broadway leggiamo: «Joel Yabloner era alto e magro, con un viso giallastro e pieno di rughe, una pelata lustra, il naso affilato, le guance incavate e il pomo d'Adamo sporgente come gli occhi, che erano color ambra». Che ne sarà di lui? Finirà male, sepolto in un anonimo cimitero di Brooklyn. Diviso fra New York e Gerusalemme. Singer raccoglie le sue ultime parole e ce le consegna in un crisma biblico: «L'uomo non vive secondo ragione».